Capitolo 16 – QUI SI NARRA DELL’ASTUTO SCHLIEMANN
“Potete ingannare tutti per
qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per
tutto il tempo.”
Attribuita ad Abramo Lincoln
Un gruppo di archeologi, tra cui Schliemann, a Micene
Qualcuno a questo punto
potrebbe spazientirsi, e domandare: ma Troia, allora? Heinrich Schliemann ha
ben scoperto una città nell’Asia minore! Questo almeno è quanto viene insegnato
e creduto vero tutt'ora in molte università: la bella favola dell'avventuroso
pioniere che, rischiando la sua fortuna economica e combattendo contro la sorte
avversa e l'ostilità dell'ottuso mondo accademico ottocentesco, riesce,
confrontandole con le pagine dell'Iliade, a identificare perfettamente le
rovine della città di Priamo presso le coste della Turchia, a recuperarne i
favolosi tesori e a guadagnarsi meritatamente la fama imperitura di "padre
dell'archeologia". In realtà
l’identificazione del sito turco di Hissarlik con la città dell’assedio ha
sempre lasciato perplessi gli studiosi; molti archeologi autorevoli tendono
oggi a metterne in rilievo più le differenze che le analogie. Per esempio, gli
studi geologici dimostrano che l’ampia pianura alluvionale che si trova alla
base della collina su cui sarebbe sorta Troia non esisteva ancora all’epoca del
XII secolo avanti Cristo, data che viene comunemente considerata come la più
probabile per l’evento della guerra. Il che significa che non c’era l’ampia
spiaggia dove parcheggiare più di mille navi, non c’era la piana dove far
correre i carri, e non c’era neanche il campo di battaglia! Schliemann,
inoltre, nell’ansia di cercare i tesori dell’antica Troia, combinò dei disastri
notevoli, scoperchiando brutalmente i vari strati archeologici e danneggiandoli
irreparabilmente. Credette di trovare il “tesoro di Priamo” nel secondo strato
(risalente ad almeno mille anni prima della presunta data della guerra),
identificando in seguito la città dell’assedio con il sesto o il settimo strato
(qui gli strati archeologici sono stati numerati in ordine progressivo dal più
profondo, che è anche il più antico, al più superficiale e recente). Inoltre,
lo stesso Schliemann era tutt’altro che un personaggio irreprensibile, e la sua
autobiografia, che molti conoscono, è
ampiamente “romanzata”: parecchi episodi citati sono inventati di sana pianta,
come per esempio la storia del suo incontro con il presidente degli Stati
Uniti, la presenza a San Francisco durante il famoso incendio della città, la
stessa smania di scoprire le vestigia di Troia fin dalla più tenera infanzia, e
molto altro ancora. Pare che gran parte della sua ricchezza derivasse dall'aver
taroccato le bilance con cui faceva compravendita di oro con i minatori in
California, e a un certo punto rischiò addirittura l'arresto per bigamia!
Rimandiamo a questo proposito al documentatissimo saggio di David A. Traill: Schliemann e la verità perduta di Troia,
dove il professore di lettere classiche
alla California University dipinge dell’archeologo tedesco un ritratto molto
meno lusinghiero di quello divulgato da lui stesso e dai suoi ammiratori. Per
fare poi un esempio del suo metodo di lavoro, avendo letto che a Troia c’era
una sorgente calda e una fredda, egli pensò bene di misurare la temperatura
dell’acqua di tutti i ruscelli della zona: corretta applicazione del metodo
scientifico, dovremmo dire, se non che, dato che la temperatura risultava
uguale dappertutto, ne concluse che forse la sorgente calda si era esaurita e
quindi il posto che diceva lui andava benissimo lo stesso! Particolarmente
gravi sono poi le accuse di aver alterato i risultati dei propri scavi con oggetti
trovati altrove, forse comprati o addirittura contraffatti, distorcendo molti
dati archeologici e persino falsificando i propri diari per provare certe
affermazioni. In effetti i più clamorosi ritrovamenti sarebbero avvenuti, in
modo molto strano e sospetto, in assenza di testimoni. Addirittura il bel tipo
si vantava della propria scorrettezza nei confronti di altri archeologi che
dovevano sovraintendere agli scavi, invadendo pesantemente le zone di loro
competenza, e contrabbandava
illegalmente i pezzi più preziosi, infischiandosene degli accordi sottoscritti
con le autorità locali.
Traill sembra però ancora esitare nell'idea di demolire del tutto la collocazione geografica delle rovine di Troia.
Traill sembra però ancora esitare nell'idea di demolire del tutto la collocazione geografica delle rovine di Troia.
Gli scavi di “Troia”- Hissarlik, in Turchia
Tuttavia, molti archeologi
la pensano in modo diverso. Per esempio, il prof. Dieter Hertel (che insegna
Archeologia Classica all’Università di Colonia ed ha preso parte a diverse
campagne di scavo nell’area di Hissarlik), nel suo libro Troia (pubblicato
in italiano nel 2003), dopo aver premesso che «fra i tanti strati che
testimoniano le diverse ricostruzioni di Troia dopo ogni distruzione avvenuta
nei secoli, le fasi Troia VI (1700-1300) e Troia VII (XIII secolo) non furono
il teatro di famose imprese militari», sottolinea che «non è possibile parlare
di una spedizione di greci micenei contro la città, fosse essa Troia VI o Troia
VIIa [...] Lo studio delle fasi Troia I-VII [...] ci ha rivelato i contorni di
una lunga epoca storica, dai caratteri del tutto diversi da quelli del mondo e
degli eventi descritti da Omero». Inoltre, «non vi è alcun indizio che consenta
di attribuire a una conquista la fine di Troia VI, VIIb1 e VIIb 2 [...] Anche
nel caso in cui Troia VIIa sia stata presa con la forza, questo evento non può
aver trovato riflesso nella saga greca: nemmeno il minimo indizio depone a
favore di tale possibilità». Per di più, aggiunge Hertel, «nei dintorni di
Troia non è stato trovato alcun segno di un assedio contemporaneo agli strati
di distruzione rinvenuti nello scavo della città, portato da greci micenei o da
altre popolazioni; né trincee, né accampamenti fortificati per le navi, né
alcunché di simile è stato scoperto nei dintorni della città, sulla costa
settentrionale o nella baia di Beşika, nonostante le numerose e alacri ricerche
condotte».
Da notare che i turisti in visita
agli scavi vengono spesso portati a vedere resti come la cosiddetta “tomba di
Aiace”: peccato che tali reperti archeologici risalgano all’epoca romana, circa
un millennio dopo Omero, e furono costruiti per far contenti i già allora
numerosi viaggiatori provenienti da Roma, compresi alcuni imperatori, che
restavano affascinati nello scoprire quelle che Virgilio aveva raccontato
essere le “radici” degli antichi romani! Trascriviamo testualmente quel che
dice di Omero Il libro dei libri
perduti di Stuart Kelly, riprendendo il già citato Agone tra Omero ed Esiodo: «L'imperatore Adriano cercò di districare
quei resoconti contraddittori chiedendo un parere alla sibilla Pizia, che gli rispose:
“Itaca è la sua patria, Telemaco suo padre, ed Epicasta, figlia di Nestore, la
madre che lo partorì, un uomo che è di gran lunga il più saggio fra i mortali”.
Se aveva ragione, e se Telemaco, figlio di Ulisse, era l'antenato di Omero,
l'Odissea è una biografia di suo nonno oltre che un poema epico» e quindi,
aggiungiamo noi, un espediente agiografico per legittimare il suo potere su
Itaca. Così la Pizia, che era a capo dell’oracolo di Delfi, poteva magari
essere a conoscenza di qualche “mistero”, ben custodito e ben tramandato da
generazioni. Niente male l'idea di Omero, figlio di Telemaco, che scrive la
storia della nobile casata...
Si aggiunga poi che se si
vanno a vedere le descrizioni che Omero fa di Troia, per esempio nei libri XII
e XX dell’Iliade, ci si accorge che l’antica città di pietra del sito di
Hissarlik, fondata cinquemila anni fa sulla costa turca, ha ben poco in comune
con quello che sembra un tipico villaggio fortificato dell’Europa nordica.
Omero riferisce che le mura del campo degli Achei sono ancor più imponenti di
quelle di Troia, ma che vengono in parte abbattute durante un attacco troiano,
e poi spazzate via dalla successiva piena del fiume. La stessa Troia verrà poi
completamente distrutta da un incendio: il tutto fa arguire che fosse fatta in
gran parte di legno; Omero sottolinea che solo le case dei membri della
famiglia reale erano di pietra.
Villaggio rurale nel museo all’aperto di Olsztynek, Polonia. Così dovevano essere le
case dei protagonisti dei poemi omerici.
Si consideri quanta fatica
fece secoli dopo Giulio Cesare per fare capitolare Alesia, la città dei Galli,
per rendersi conto di quanto i villaggi del Nord Europa fossero difficili da
espugnare, pur essendo protetti solo da robuste palizzate di tronchi, talvolta
rinforzate da pietre. Bisogna notare anche che i resti della città gallica non
sono ancora stati identificati con
certezza, nonostante le intense ricerche e benché la sua esistenza non sia mai
stata messa in dubbio: potrebbe essere la stessa cosa successa alla Troia
nordica, che sarebbe in ogni caso ben diversa dalle possenti fortezze di pietra
immaginate da Schliemann e che siamo abituati a vedere in film e documentari
storici. A questo punto si può anche
pensare, riprendendo le osservazioni di alcuni storici dell’antica Grecia, che il famoso “Cavallo di Troia” fosse in
realtà una specie di “macchina da guerra”, non molto dissimile da quelle
architettate da Cesare per conquistare Alesia. C’è anche da considerare la
propensione dei popoli nordici a bere e sbronzarsi in modo esagerato, ben
testimoniato da tutte le fonti storiche: Troia fu distrutta perché i suoi
abitanti, illusi che i nemici se ne fossero andati, non misero nessuno di
guardia e si diedero alla pazza gioia tanto da essere tutti ubriachi fradici! L’eroe troiano Enea poi afferma (Iliade
XX, 219-240) che la fondazione della sua città risale a meno di sei
generazioni prima, cioè a circa 200 anni addietro; quindi se la guerra datasse
al 1200 avanti Cristo, e la fondazione al 1400, ci sarebbero “appena” 1600 anni
di differenza con la data reale di nascita della città turca, che le indagini
stratigrafiche collocano nel 3000 avanti Cristo! Insomma, nonostante nell’antichità ci fossero continue guerre, e
gli incendi negli abitati fossero eventi piuttosto comuni, non si riesce a
trovare la cosiddetta “pistola fumante” che riesca a provare una correlazione
inequivocabile tra i resti archeologici di Hissarlik e gli eventi della guerra
e della distruzione di Troia così accuratamente descritti nei poemi. Non
quadrano i tempi e i luoghi. In poche parole, non c’è quello che dovrebbe
esserci, e c’è quello che non dovrebbe esserci! Alla fine di questo discorso,
dunque, gli archeologi avrebbero tutti i motivi per tirare un bel sospiro di
sollievo al pensiero che la gloriosa città cantata da Omero non sia quel cumulo
di macerie devastate dal “mitico” Schliemann! Il tanto vituperato mondo
accademico ottocentesco aveva le sue buone ragioni nel diffidare da
quell'avventuriero, e sarebbe ora che lo facesse anche il mondo accademico
attuale.
Ma la storia non finisce
qui: nel 1912 un certo Paul Schliemann, sedicente nipote di Heinrich, vendette
a un giornale un lungo articolo, corredato di particolari mirabolanti, in cui
sosteneva che suo nonno gli aveva lasciato una serie di reperti archeologici e
di indizi per scoprire nientemeno che la perduta civiltà di Atlantide. La
faccenda suscitò ovviamente un certo scalpore, e il buon Paul, degno erede
(vero o presunto) di suo nonno, godette per un breve periodo di una immeritata
fama. Poi però, quando le sue affermazioni cominciarono ad essere vagliate più
attentamente e risultarono del tutto prive di fondamento, il bravo nipotino
preferì sparire dalla circolazione, non prima di aver dichiarato con spudorata
faccia tosta: "Ma se dovessi dire tutto quello che so, dove andrebbe a
finire il mistero?". Comunque, se avrete un po' di pazienza, tra qualche
pagina andremo ad indagare anche sulla questione di Atlantide e di altri enigmi
mitologici: come vedete, non ci facciamo mancare niente.
Quindi, tornando alla geografia omerica, la Troia
della Turchia non è altro che una delle tante città chiamate così, come ce n’è
una in Puglia, una in Portogallo, una Troyes in Francia, una Troynovant
nell’antica Inghilterra, per non parlare della ventina circa di Troy negli USA.
Nel caso di Ilio abbiamo due Ilion in Grecia e una presso New York. Del resto
questo meccanismo di chiamare luoghi diversi con lo stesso nome ha continuato a
perpetuarsi dall’antichità fino ai giorni nostri: basti pensare che il termine
Eridano indicava anticamente un fiume europeo (non si è mai capito se il Rodano
o il Reno, o qualcun altro) e poi ha designato il Po. O a quanti monti Olimpo
ci sono: sette tra Grecia e Turchia, alcuni altri sparsi per il mondo, tra cui
uno in America, e uno persino su Marte! In pratica, ogni volta che si
incontrava una montagna più alta delle altre, qualcuno prontamente la
battezzava con il nome della sede delle divinità. E' la stessa cosa che fanno
gli astronomi dalla notte dei tempi e ancor oggi, quando devono battezzare qualche
nuovo pianeta, o satellite, o cometa, e pescano a piene mani dalla mitologia. Quindi Schliemann non ha scoperto la Troia
omerica, ma solo un’importante città dell’antichità che poi è stata chiamata
così. Sarebbe ora interessante scoprire quale città fosse, magari è proprio
quella che gli Ittiti chiamavano Wilusa (anche se la sua localizzazione
geografica sembrerebbe diversa), che è stata in seguito confusa dagli antichi
per la sua assonanza con la Ilio omerica. Quella dell’archeologo dilettante tedesco non
fu un'impresa particolarmente difficile, in fondo: egli era un ricco mercante,
che viaggiava molto ed era appassionato di archeologia, in un’epoca in cui i
ricchi viaggiatori erano pochissimi, e gli archeologi ancora meno. Bastava solo
chiedere un po’ in giro e lasciare qualche mancia, per scoprire resti
interessanti. Bei tempi!
Per sapere dov'era l'antica Troia https://astutoomero.blogspot.com/2017/03/omero-racconto-delle-saghe-nordiche.html
Tutto quello che leggete in questo sito (e molto di più) si trova nel libro che potete acquistare a prezzo scontato qui https://astutoomero.blogspot.com/2017/07/neomecenatismo.html
Per sapere dov'era l'antica Troia https://astutoomero.blogspot.com/2017/03/omero-racconto-delle-saghe-nordiche.html
Tutto quello che leggete in questo sito (e molto di più) si trova nel libro che potete acquistare a prezzo scontato qui https://astutoomero.blogspot.com/2017/07/neomecenatismo.html
Troja in Albanese significa la nostra terra, la guerra di Troja e una guerra tra ILIRICI e PELASGI entrambi Albanesi
RispondiEliminaGli albanesi hanno spesso caratteri somatici nordici, come occhi chiari e capelli biondi; può darsi che anche la loro lingua abbia origini nordiche e quindi presenti delle somiglianze con la lingua omerica. Di certo l'ambiente e il clima, con abeti a livello del mare, nebbie e freddo durante la stagione della navigazione (che era l'estate) non si conciliano con il Mediterraneo.
RispondiElimina