“Gli sciocchi fanno spesso domande
a cui i saggi non sanno rispondere.”
Antico
proverbio (Giovanni Torriano, Select italian proverbs, 1642 )
Introduzione – IL
PROTAGONISTA DELL’ODISSEA? FILOTTETE!
“Una bugia fa in tempo a viaggiare
per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe.” 
attribuita a Mark Twain
attribuita a Mark Twain
Strana  storia, 
quella di Ulisse. Possibile che il re di Itaca  se  ne
stia  lontano per vent’anni, struggendosi
dal desiderio di rivedere  la  sua 
patria, abbandoni  una  bellissima 
ninfa che vorrebbe renderlo immortale 
per  tornare  da una moglie non più giovane,  rientri a casa dopo una pericolosissima traversata
in solitaria,  nessuno lo riconosca,
neanche il padre o  la  moglie stessa, ne ammazzi tutti i pretendenti
rischiando di  provocare  una  sanguinosa
 rivoluzione, e finalmente,  quando 
avrebbe tutto  il diritto di
starsene un po’ tranquillo,  decida  di ripartire di nascosto lasciando tutti con
un palmo di  naso? D’accordo,  è un racconto mitologico, però,  insomma, non 
è molto...  logico!
E se Ulisse non fosse
stato... Ulisse? Già in molti hanno avuto una 
intuizione simile, ma il suggerimento di una  possibile ricostruzione realistica della
vicenda ci  arriva  dal formidabile e controverso “Omero  nel Baltico”, 
saggio  sulla  geografia omerica  di 
Felice  Vinci, di cui potete
trovare un’ampia analisi critica nella seconda parte di questo volume (e un riassunto qui https://astutoomero.blogspot.com/2017/03/omero-racconto-delle-saghe-nordiche.html ). Quasi di
sfuggita, tra le  pieghe  del discorso, Vinci ipotizza che  il 
figlio  di Ulisse, Telemaco, abbia
ingaggiato un mercenario per 
interpretare  Ulisse e fare strage
dei Proci, i pretendenti alla mano della madre Penelope.
Lo stesso  Telemaco avrebbe poi scritturato un poeta per
raccontare una fantasiosa storia che potesse 
giustificare tutti  gli anni di
assenza del padre; oggi forse un avversario politico invidioso definirebbe quel
poeta un "pennivendolo di regime" (esistevano già allora, a quanto
pare!). Tutto ciò allo scopo di liberare 
la reggia  dai  pretendenti che gli stavano  mangiando 
tutte  le sostanze; si aggiunga
poi che se qualcuno ne avesse sposato  la
madre, Telemaco avrebbe perso il diritto alla 
successione e al regno; era lei infatti di stirpe nobile, essendo figlia
del potentissimo re Icario, mentre Ulisse era 
un “parvenu”  che  si era arricchito con l’arte  dei 
commerci, della   pirateria e del
saccheggio, attività fra le quali a quei tempi i confini erano piuttosto
labili. I pretendenti stessi, poi, stavano tramando per toglierlo di mezzo, e
quindi bisognava anticiparli al più presto.
Stavo rimuginando  sulla faccenda, quando improvvisamente una
possibile soluzione  ha attraversato la
mia mente come un lampo. "Oh perbacco, io so chi  era quel mercenario!". Riuscite a
immaginarlo? Provate  a
pensarci...eppure  ce  lo suggerisce 
Ulisse  stesso...quando si trova
nella terra dei Feaci. Ulisse afferma di essere il migliore degli Achei nel
tiro con l’arco, subito dopo Filottete!
Filottete, chi era costui?
Qualcuno forse si ricorda di lui grazie al simpatico cartone animato
“Hercules”, prodotto dalla Disney nel 1997, tuttavia in quel caso gli
sceneggiatori si sono fatti prendere un po’ troppo la mano dalla necessità di
inventare una storia divertente, modificando le vicende e i ruoli dei vari
personaggi mitologici, per cui sarà meglio riferirci alle fonti classiche.
L’Iliade ci narra che egli era a 
capo  di  un contingente degli Achei  che 
andavano  alla guerra  di Troia. Ma era stato morso ad un piede da
un serpente che  gli aveva causato una grave
ferita. La lesione si era infettata tanto da costringere i compagni ad
abbandonarlo sull’isola di  Lemno.
La  tradizione  mitica, ripresa da  Sofocle in una sua opera teatrale,  racconta 
che, secondo una profezia, Troia sarebbe caduta solo con  l’aiuto delle armi di Ercole. Filottete era
stato allievo di  Ercole e  ne 
aveva  ereditato l’arco e le
frecce,  per  cui 
venne recuperato sull’isola e curato dal medico acheo Macaone; poi,
proprio Filottete  avrebbe ucciso  Paride, 
dando un contributo determinante alla 
sconfitta  dei Troiani.
Ma  certo! Il mercenario era Filottete! Persino
il suo nome già significa "colui che ama possedere".  Questo spiega 
molte cose:  conosceva da tempo
Ulisse, e quindi si prestava  bene ad
interpretarlo, inoltre era “amico di famiglia”, e  dunque poteva essere disposto a rischiare la
pelle in una impresa così pericolosa; 
era poi un  abilissimo  arciere, evidentemente  abituato 
a  un “numero da circo” come
quello di attraversare con una  freccia  gli anelli di dodici scuri allineate, il che
presuppone  anche un certo allenamento,
cosa che Ulisse non poteva più  avere
dopo tanti anni per mare. Ammesso  poi che
fosse realmente dotato di questa abilità, visto 
che  in tutta l’Iliade, poema che
è molto più realistico  dell’Odissea, lo
stesso Ulisse non usa mai l’arco, 
neanche durante i giochi in onore di Patroclo, nei quali vince invece le
gare di lotta e di corsa. Da notare inoltre che Omero non dice che Filottete fu
abbandonato a Lemno per ordine di Ulisse: questa è un’elucubrazione dei
mitografi successivi, poi ripresa anche da Sofocle, che ha rielaborato i vecchi
miti per costruirci sopra il suo racconto, non molto diversamente da quanto
hanno fatto gli autori della Disney! Quindi non c’è motivo per pensare che
Filottete dovesse covare del risentimento nei confronti di Ulisse o dei suoi
familiari.
Logicamente, i giovani di
Itaca non  conoscevano  Filottete, ma 
certo qualche anziano avrebbe 
potuto  riconoscerlo, per cui
sarebbe stato necessario eclissarsi al più presto a missione compiuta. Come
abbiamo detto, egli era stato ferito gravemente al piede dal serpente,  il che doveva avergli lasciato una
evidente  zoppìa. E infatti Omero, pur
senza dirlo apertamente, fa di tutto per farci capire che il misterioso
straniero zoppica: infatti cammina lentamente, appoggiandosi a un bastone,
viene paragonato al dio Efesto, zoppo pure lui, si parla insistentemente e
senza motivo apparente dei "piedi", fino alla trovata davvero geniale
della vecchia nutrice che riconosce “Ulisse” dalla ferita al ginocchio
causata  da un   cinghiale   
(cosa che non viene mai accennata né nell’Iliade né nel resto
dell’Odissea, in cui le gambe del corridore Ulisse sono assolutamente
perfette). Il riconoscimento avviene proprio mentre gli lava i piedi, quindi
ciò può significare che il problema era nel piede, e non nel ginocchio!
Però  Filottete non si  accontentava 
di  una cospicua  ricompensa, ma ambiva anche alla  gloria 
eterna!  E siccome  non  si
poteva rivelare l’inganno, ecco 
l’idea  di cantarlo  come 
“il migliore degli arcieri achei”, 
a  detta addirittura  del 
grande Ulisse. Ma vi pare 
che  lo  stesso Ulisse, che si potrebbe definire quasi
un “miles  gloriosus” ante  litteram, avrebbe ammesso, nel poema a  lui 
dedicato, che c’era qualcuno più bravo di lui?? La sua frase, più  che un lapsus freudiano è un vero e proprio
“messaggio in bottiglia” lanciato ai posteri, come a dire “chi ha orecchie  per intendere,  intenda!”. E Omero ha lasciato una miriade di
messaggi simili in tutto il poema, utili per farci intuire il reale svolgimento
della vicenda.
Quanto ad  Ulisse, 
probabilmente  doveva essere morto
da tempo, ucciso in battaglia o annegato sulla via del ritorno. Lo si può
dedurre dal fatto che, in tutta l’Odissea, 
l’idea che l’eroe  sia  ormai 
defunto viene  ripetuta più volte
in modo deciso, mentre l’ipotesi  che
possa essere ancora vivo viene avanzata in modo dubitativo.  La stessa dea Atena, sotto l’aspetto del
mercante Mente, si  contraddice in modo
palese, quando afferma di non essere un indovino, ma che  vuole ugualmente formulare una profezia, per
annunciare che  Ulisse tornerà. Ma
Mente... mente!
Ed anzi esorta Telemaco a
pensare egli stesso a come cacciare i Proci, essendo ormai diventato adulto,
per cui il figlio di Ulisse parte a cercare notizie del padre proprio dai suoi
migliori alleati. Che dire poi del fatto che Ulisse ad un certo  punto discende nel mondo dei morti? O che
nell’episodio di Polifemo  dichiara di
chiamarsi Nessuno, per cui il 
ciclope  ripeterà che Nessuno lo  acceca, Nessuno lo uccide? Altri messaggi in
bottiglia, che... nessuno, finora, aveva preso alla lettera!  E ancora, non appare molto sospetta la
straordinaria coincidenza temporale, per cui Ulisse tornerebbe ad Itaca dopo
vent’anni,  e dopo poche ore suo figlio
sbarcherebbe sulla stessa spiaggia, situata dalla parte opposta rispetto al
porto principale? E  poi, cosa dovremmo
dedurre dalle tradizionali biografie, secondo le quali Omero era cieco??
Vediamo di  ricostruire con ordine la vicenda, come
potrebbe essersi svolta nella realtà. C'è un vuoto di potere a Itaca, il re Ulisse
è partito da vent'anni per la guerra e non è più tornato. Il principe
Telemaco,  tipico adolescente “problematico”,
soffre a Itaca per l'assenza della figura paterna  e sta meditando il modo di liberarsi dai
Proci, prima che loro si liberino di lui, e gli soffino eredità e potere. E’
arrivato a  corte un vecchio cantore cieco
o quasi, affetto da  cataratta  oppure 
vittima  di una ferita, che  ai 
tempi  della guerra  aveva 
assistito agli avvenimenti. 
Magari  è  stato chiamato,  ironia della sorte, dai Proci stessi per
il  proprio divertimento. Telemaco
ascolta la storia dell’Iliade  e gli
viene in mente un piano diabolico: partire con la nave e andare a cercare un
arciere abilissimo, killer  infallibile,
per eliminare la concorrenza. Che poi passi dalla reggia  di Nestore, sapendo di trovarlo lì, che
l’idea gli venga  dallo stesso Nestore o
da Menelao, oppure si rechi direttamente da Filottete, e inventi  una storia per motivare la sua partenza
improvvisa,  questo non è dato sapere, ma
ha poca importanza.
Durante il viaggio di
ritorno,  Filottete e  Telemaco 
perfezionano il piano: ordineranno al poeta di corte di mettere  assieme 
una serie di racconti e leggende di marinai, ambientati in terre
lontane, per giustificare la lunga assenza di Ulisse. E così, Filottete viene
sbarcato nottetempo in un angolo di 
Itaca, assieme alla sua ricompensa in oro e oggetti preziosi (fatta
passare come dono dei Feaci ad Ulisse); anche Telemaco sbarca sulla stessa
spiaggia con la scusa di andare a visitare le sue proprietà, e tornare in città
a piedi,  mentre la nave fa il giro e
arriva in porto (per questo i Proci in agguato non  la 
vedono transitare). 
Filottete-Ulisse  non  viene 
riconosciuto  da nessuno,  tranne 
che dal cane (che  non  può  “testimoniare”,
anche perché muore subito), dalla vecchia nutrice, e in seguito dal padre
Laerte, tutti destinati a morire da  lì a
poco senza potere smentire la loro testimonianza. Così moriranno pure tutti gli
avversari di Telemaco, come tutti i Proci e una dozzina di ancelle  loro compagne. Gli altri servi fedeli, come
il porcaro Eumeo e il mandriano Filezio, si preoccupano di comunicarci che
riceveranno in premio una bella moglie, una casa e un podere. Mentre un altro
amico di Telemaco, l'araldo Medonte, guarda caso porta lo stesso nome del
"vice" di Filottete, che aveva preso il comando della spedizione a
Troia quando questi era stato lasciato a Lemno.
Quanto a Penelope,
difficile che non ne sapesse niente fin dall’inizio, visto che è proprio lei in
persona a indire la gara di tiro con l’arco da cui prenderà avvio il massacro
dei pretendenti, e comunque non sarà certo lei a denunciare il figlio. Ma
Telemaco non può compiere un golpe sanguinoso e farla franca, per cui fa
raccontare al poeta di corte una lunga storia in cui il legittimo sovrano è
tornato con l'aiuto degli dei per punire gli usurpatori. Compiuta la  strage, anche il falso Ulisse non può restare
lì come se niente fosse, perché qualcuno prima o poi lo riconoscerebbe, per cui
provvede ad autoesiliarsi, lasciando Telemaco unico erede al trono.  E infine Omero 
viene incaricato di mettere in bella copia la  storia dell’Odissea, e magari di aggiungere
qualcosina  (raccontata dalla  viva 
voce  di “Ulisse”)
all’Iliade.  Ma il poeta inserisce tutta
una copiosa serie di indizi per fare capire come si sono svolti realmente i
fatti. E  se  qualcuno avesse avuto di che eccepire, il
poeta sarebbe sempre stato in grado di discolparsi:  “Sono 
cieco, come potevo riconoscere 
Filottete?  Nulla vidi, tutto  sentii!”. L'Odissea è dunque un poema
celebrativo, nato per legittimare la presa del potere da parte di Telemaco
attraverso la nobiltà delle sue origini, confermata non solo dal “miracoloso” e
vendicativo ritorno del titolare Ulisse, ma anche  dalla volontà divina.
Ma  c’è 
un  altro “messaggio   in bottiglia”,  che vale la pena di notare: durante il  viaggio di ritorno dalla reggia di Nestore ad
Itaca, Telemaco  porta con sé un certo
Teoclimeno, in fuga per avere assassinato un uomo. Teoclimeno viene presentato
a corte, dichiara di essere un indovino 
e   profetizza che Ulisse è già in
patria.  Ci  si aspetterebbe  che Teoclimeno, se non altro  per 
gratitudine verso  Telemaco che lo
ha  accolto togliendolo dai guai,  si offrisse di dare una mano nel momento
cruciale della strage dei Proci.  Invece
niente,  sul più bello sparisce
dalla  narrazione e non si fa più vedere!
Già, ma sarà semplicemente  un caso che
“Teoclimeno” sembri quasi, come vedremo, un approssimativo anagramma  di “Filottete”?
Ma  torniamo 
ad Omero, il cui nome  può  significare 
anche “ostaggio”: è possibile che fosse un Troiano, finito
prigioniero  degli  Achei. 
Questo spiegherebbe il  motivo per
cui si avverte  che fa il tifo per i
Troiani, e che conosce  troppe cose  accadute 
 entro le mura di Troia; se  fosse 
stato  un cronista acheo, gli
sarebbe stato difficile  ricostruire gli
avvenimenti troiani dopo la caduta della città. Ciò potrebbe forse spiegare
anche le differenze stilistiche tra Iliade ed Odissea;  per quanto simili, Achei e Troiani
dovevano  avere delle  piccole diversità di lingua e di
religione,  e  dopo essere 
vissuto  per vent’anni tra gli
Achei, lo  stile  del poeta 
potrebbe  essersi adattato
alle  usanze  della 
nuova patria.
Invece  il 
buon Telemaco doveva essere 
un  contaballe  di prima 
categoria, ma che a sua discolpa 
poteva  esclamare “tale il padre,
tale il figlio!”. Per dare un’idea di che bel tipo  fosse, 
basta leggere la scena in cui 
strangola  con gusto  le 
ancelle infedeli. E comunque, era 
tutt’altro  che  un ragazzino 
spaurito,  ma una specie di  piccolo 
Stalin  che liquidava ogni
oppositore, e modificava pure la storia a suo uso e consumo! Da Omero ad Orwell
c’è davvero poca differenza!
Che  ne 
pensate?  Mandiamo questa storia
a  Sherlock Holmes oppure al tenente
Colombo?  Per concludere, devo aggiungere
che per me  questo è stato un “serio
divertimento”, anche se non vorrei che questo concetto inducesse a pensare che
non ci sia stato un grande lavoro di studio e di verifica alla base; qui tutto
è rigorosamente documentato (e anzi, a dire il vero, non c'è cosa più seria del
divertimento). Qualcuno ha superficialmente bollato il mio lavoro come una
"fantasiosa ricostruzione", mentre in realtà andrebbero considerate
fantasiose le complicatissime interpretazioni pesantemente elaborate in miriadi
di studi letterari, che non hanno risolto la questione, ma anzi l'hanno resa
ancor più intricata; oppure potrei controbattere con  il gustoso commento del matematico David
Hilbert, al quale era stato riferito che un suo allievo aveva abbandonato
l'università per diventare un poeta: "Non mi stupisce, non aveva
abbastanza immaginazione per fare il matematico.".  In questa seconda edizione mi sembra di
aver  dato risposte esaurienti alle
critiche, non sempre informate e in buona fede, che mi sono giunte da più
parti, in particolare quella di non essere un “esperto” di letteratura greca. Però...
però  ho sottoposto la mia ipotesi ad
alcuni grecisti, che  dopo essere  sobbalzati 
sulla  sedia ed  avere 
strabuzzato  gli occhi,  hanno balbettato qualcosa come “Mah, sì,
è  possibile..., ma non racconti in giro
che glielo ho detto io!”. 
Nelle prossime pagine
vedremo come il poema omerico, letto in questa chiave, senza perdere nulla del
suo immenso valore letterario, assuma improvvisamente una unitarietà e una
logica che nessuno prima d’ora aveva mai neanche sospettato, e come la
soluzione arrivi proprio esaminando il racconto da tutti i punti di vista, non
solo da quello dei letterati. L’Odissea non è semplicemente una bella favola
per bambini troppo cresciuti, ma un intricatissimo labirinto ricco di continui
ingegnosi riferimenti, che sfuggono inevitabilmente  a chi non ha una solida preparazione
scientifica sul groppone.  
“Quandoque  bonus dormitat Homerus”, ogni tanto
dorme  anche il buon Omero, proclamava
Orazio... ma forse Omero era molto più sveglio di quanto abbiamo sempre
creduto! 
Come
invece ha
lasciato scritto
Aristotele (Poetica,
24, 19):
“Omero
ha soprattutto insegnato agli altri come si deve dire il falso”. Ora si capisce perché continuava a lodare l’arte dell’inganno,
era lui il vero re dell'astuzia!
Per leggere il capitolo 1  https://astutoomero.blogspot.it/2016/05/capitolo-1-non-illudetevi-ulisse-e.html
Filottete sull'isola
di Lemno, quadri di Jean-Germain Drouais, Musée des Beaux-Arts, Chartre, e di Guillaume
Guillon-Lethier 

Come sempre: una prosa "scorrevole" che lascia il segno perchè aggredisce il nostro "comune senso del pensare" inducendoci a riflettere.
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Stupenda lettura
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