Diceva Mark Twain, "E' più facile ingannare la gente piuttosto che convincerla di essere stata ingannata"
Omero è una continua fonte di frustrazione per gli archeologi, per i filologi e tutti i commentatori... centinaia di pagine con migliaia di nomi, eventi, riferimenti, località ecc. che però finiscono con il confondere le idee anziché aiutarci a chiarirle. Ma se invece la soluzione fosse diversa da quelle faticosamente elaborate nei secoli dai letterati? Perché Omero continuava a lodare l'arte dell'inganno? Perché dormiva... o perché è lui che ha ingannato tutti per 3000 anni? E i miti sono soltanto delle belle favole oppure nascono da eventi reali di cui si comincia solo ora a intravvedere l'origine?

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mercoledì 20 dicembre 2017

CAVALLO O NAVE? O qualcos'altro?

Circola da qualche tempo la teoria di un archeologo navale secondo cui il famoso "cavallo di Troia" sarebbe stato in realtà una nave fenicia con la prua a forma di cavallo http://www.lastampa.it/2017/11/01/cultura/cade-il-mito-del-cavallo-di-troia-in-realt-era-una-nave-Kp8VGrSBy5yTIgara5cmHM/pagina.html  Naturalmente navi con testa di cavallo erano presenti anche nel Baltico e nel Nord Europa. Ecco cosa scrivo nel mio L'ASTUTO OMERO: "Ne dà un'idea il sarcofago trovato a Neumagen, attuale nome della città di Noviomagus nei pressi di Treviri: si tratta della tomba di un ricco mercante a forma di nave vinaria, con quattro grosse botti allineate al centro, e le estremità a forma di testa di drago come le navi vichinghe, solo che è molto più antica rispetto all'epoca vichinga, dato che risale al II secolo dopo Cristo . La nave di Neumagen si trova nel museo renano di Treviri, città imperiale romana sorta sulla Mosella, il principale affluente del Reno; Treviri dovette la sua ricchezza soprattutto al commercio del vino, ed oggi è stata proclamata patrimonio dell'Unesco per il suo valore culturale e artistico. Una copia del sarcofago a grandezza naturale è visibile anche al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. 

 Navi con testa di animale sono rappresentate in molti graffiti antichi del nord Europa; modellini di bronzo sono comuni nell'archeologia sarda; anche le navi fenice avevano spesso una prua a forma di testa di cavallo o di altri animali, proprio come le navi vichinghe, tanto da essere chiamate hippos. 

Alcuni studiosi ipotizzano che il famoso "cavallo di Troia" fosse in realtà una nave di questo tipo, ma non si spiega perché i Troiani avrebbero dovuto trascinare una nave fino dentro la città, quando sarebbe stata perfettamente al suo posto sulla spiaggia. Si potrebbe pensare anche che accoppiando due navi l'una sull'altra come il guscio di una noce si otterrebbe un contenitore adatto a tenere nel suo interno un gruppo di soldati.


C’è anche il racconto di Elena che nel quarto libro dell’Odissea dice a Telemaco e a suo marito Menelao che il buon Ulisse, dopo essersi inferto da solo vili ferite, e indossato degli stracci, si era introdotto a Troia fingendosi un mendicante; solo lei l’aveva riconosciuto e si era messa tranquillamente a lavarlo e a ungerlo, mentre lui, l’astuto acheo, le rivelava tutto il piano per espugnare Troia, facendole giurare di non dire niente a nessuno. E lei era tutta contenta perché non vedeva l’ora di ritornare dal suo maritino adorato. Cioè… l’astuto Ulisse sarebbe arrivato inosservato fino alla stanza da letto della più bella donna del mondo, solo per farsi dare una rinfrescatina e raccontarle per intero il suo loschissimo disegno! Ci sarebbe da ridere già adesso, ma Omero continua a prenderci in giro con la risposta di Menelao, che loda la sua donna e subito dopo racconta di quando lui, Ulisse e tutti i migliori guerrieri achei stavano dentro al cavallo di legno, e la brava Elena cosa combinava? Da fuori li chiamava tutti quanti per nome, imitando le voci delle mogli lasciate a casa, mentre quelli da dentro smaniavano per risponderle, e Ulisse tappava loro la bocca! Babbei gli Achei, e babbei i Troiani che non si accorgevano di niente! Senza contare che la stessa vicenda del cavallo cavo con dentro i guerrieri, che viene trasportato fino nella città con grande fatica è decisamente inverosimile: nessuno si rende conto che c’è qualcosa di strano, o che nel suo interno c’è gente con le armi che risuonano ad ogni sobbalzo… e spesso i bambini a cui la storiella viene raccontata, obbiettano con disarmante ingenuità: “Ma a quelli là dentro, dopo tutto quel tempo, non scappava la pipì?”. Insomma la vicenda racchiude una tale selva di contraddizioni ed assurdità che il buon Telemaco pensa bene di porvi rapidamente fine, ripetendo ancora una volta che suo padre è morto, e andandosene a dormire.

A questo punto si può anche pensare, riprendendo le osservazioni di alcuni storici dell’antica Grecia,  che il famoso “Cavallo di Troia” fosse in realtà una specie di “macchina da guerra”, non molto dissimile da quelle architettate da Cesare per conquistare Alesia. Il suo nome potrebbe significare che esso serviva a "scavalcare" le mura nemiche, e non è un caso se nel gioco degli scacchi, un antichissimo gioco di guerra, il Cavallo è l'unico in grado di oltrepassare con un salto gli altri pezzi. Del resto, anche altre armi da assedio prendono il nome da animali, come il ben noto "ariete", usato per sfondare le porte, o la "testuggine" e l"onagro", ed erano usate fin dall'antichità: rilievi assiri del VII secolo avanti Cristo mostrano torri semoventi su ruote, impiegate per attaccare le mura delle città nemiche.  Riferendo le vicende delle guerre germaniche del I secolo, Tacito (Storie, 4, 30) descrive i tentativi dei Batavi (una tribù stanziata presso la foce del Reno) di costruire una torre da assedio a due piani, che però crolla miseramente: il che dimostra, da una parte, che anche i Germani costruivano macchine da guerra, e dall'altra che però non erano tanto bravi. Quindi realizzare il “cavallo” doveva essere un lavoro che richiedeva una certa dose di ingegno, degna dell'astuto Ulisse; il quale peraltro, contrariamente a quanto spesso si crede, riferisce che il costruttore del marchingegno era stato un certo Epeo (Od. VIII,493 e XI, 523), altrimenti poco noto. Se non altro non possiamo incolpare Ulisse di aver violato pure i diritti di copyright!
C’è anche da considerare la propensione dei popoli nordici a bere e sbronzarsi in modo esagerato, ben testimoniato da tutte le fonti storiche: Troia fu distrutta perché i suoi abitanti, illusi che i nemici se ne fossero andati, non misero nessuno di guardia e si diedero alla pazza gioia tanto da essere tutti ubriachi fradici!  

  Tutto quello che leggete in questo sito (e molto di più) si trova nel libro che potete acquistare a prezzo scontato qui  https://astutoomero.blogspot.com/2017/07/neomecenatismo.html

venerdì 24 marzo 2017

Un po' di culto della personalità...



 “E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. Albert Einstein














L’autore davanti al tumulo Kungagraven (Tomba del Re) a Kivik, Svezia (circa 1000 avanti Cristo), al CERN di Ginevra, e con Franco Malerba, Luca Parmitano, Paolo Nespoli, Piero Angela, Rita Levi Montalcini. 

Tutto quello che leggete in questo sito (e molto di più) si trova nel libro che potete acquistare a prezzo scontato qui  https://astutoomero.blogspot.com/2017/07/neomecenatismo.html

Alberto Majrani è nato e vive a Milano. Laureato in Scienze Naturali, lavora da trent’anni nel campo dell’editoria e collabora come giornalista e fotografo con alcune delle maggiori riviste di scienze e di viaggi italiane e straniere. Ha tenuto corsi di fotografia e conferenze di argomento scientifico, storico e turistico per il Touring Club Italiano, il Gruppo Botanico Milanese, il Club Alpino Italiano, la Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli, il Circolo Filologico Milanese, la Società Umanitaria. Il suo archivio fotografico, costruito insieme con il fratello Marco e visitabile sul sito www.photomajrani.it, comprende circa mezzo milione di immagini di tutto il mondo su natura, storia, arte, turismo e curiosità. Ha inoltre creato  i blog www.astutoomero.blogspot.it e www.scienzaviaggi.blogspot.com. E’ membro dell’UGIS (Unione dei Giornalisti Italiani Scientifici), della Commissione Scientifica “Giuseppe Nangeroni” della Sezione di Milano del CAI e di diverse altre associazioni culturali. Da tempo si occupa di rintracciare le connessioni tra i fenomeni naturali e le origini delle mitologie. Nel 2002 è nata l’intuizione che lo ha portato a scrivere, nel 2008, il suo saggio "Ulisse, Nessuno, Filottete", che conteneva già alcune delle idee esposte in modo più ampio in questo libro.
 
 (Giornalista scientifico, membro dell'UGIS e della Commissione scientifica del CAI Milano. Laureato in Scienze Naturali con tesi in paleoclimatologia. Relatore Maria Bianca Cita Sironi) Faccio presente, per chi ignora anche questo, che per diventare giornalisti, iscritti all'Ordine, bisogna produrre una consistente mole di articoli, dimostrando che sono stati pubblicati, dopo essere passati al vaglio di una redazione, approvati da un caporedattore e un direttore editoriale, e infine regolarmente fatturati. Gli articoli vengono letti e esaminati da altri giornalisti dell'Ordine di provata esperienza per l'approvazione. Lo stesso bisogna rifare per iscriversi all'Unione dei Giornalisti Scientifici Italiani, UGIS. 
  Esami superati per conseguire la laurea in Scienze Naturali: chimica generale, chimica organica, fisica, matematica, mineralogia, geologia, petrografia, paleontologia, micropaleontologia, botanica, zoologia, fisiologia, anatomia comparata, geografia, astronomia, fisica terrestre e climatologia, fitogeografia, ecologia
 

 
Felice Vinci, Rosa Calzecchi Onesti e Alberto Majrani in conferenza al Museo di Storia Naturale di Milano, 2002
 

ero già un guerriero acheo a 6 anni
 

e assediavo città

 e domavo leoni

e benedicevo dal trono

domenica 1 gennaio 2017

Achille, eroe o gangster?



Achille si taglia i lunghi capelli, bronzetto etrusco, V secolo a.C.


Recentemente, due mie lettrici, che lavorano nell'editoria svedese, le sorelle gemelle Annika e Malena Lagerhorn, hanno esaminato anche l'Iliade in modo razionale, ripulendola dagli interventi divini e dagli intenti encomiastici di un poeta che doveva lodare Achille mostrandone un ritratto molto più lusinghiero di quello che poteva essere nella realtà. Il lavoro delle sorelle Lagerhorn è partito dall'osservazione dell'episodio finale del poema (libro XXIV), quando il re Priamo riesce stranamente ad arrivare indisturbato nottetempo fin dentro all'accampamento acheo e alla casa di Achille, conducendo un carro con un ricco riscatto per il corpo di Ettore. Naturalmente per far ciò è necessario l'intervento divino, con il dio degli imbroglioni Hermes che provvede a scortarlo e a far addormentare le guardie. Ancora più straordinario è poi il  fatto che grazie a un altro miracolo il cadavere dell'eroe troiano sia integro in tutta la sua bellezza, nonostante il furioso Achille l'abbia ucciso già da dodici giorni e l'abbia trascinato a tutta velocità dietro il suo carro da guerra. Anche in questo caso, come abbiamo visto per l'Odissea, il poeta manda una serie di informazioni che consentono di intuire quale sia stata la vera vicenda che ha dato origine al poema sull'Ira di Achille. Tanto per cominciare, e ci risiamo, Ettore… non era Ettore! O meglio, quello massacrato da Achille non era il glorioso comandante troiano che ne aveva scatenato la vendetta per avere ucciso Patroclo. A metà circa del poema, Ettore viene ferito gravemente al collo dal possente Aiace, svenendo più volte e vomitando sangue, per poi essere soccorso dai troiani (Il. XIV, 409-439). Secondo Felice Vinci, l'arma che lo colpisce, chiamata da Omero "chermadio", non è un semplice sasso o macigno, come viene tradotto normalmente, ma una ben più pericolosa ed efficace ascia da combattimento di pietra, in grado anche di produrre profonde ferite; ciononostante, Ettore riesce a riprendersi giusto giusto per rientrare in battaglia e uccidere Patroclo colpendolo con la lancia nel ventre. Però Patroclo era stato ferito un attimo prima alla schiena da un certo Euforbo, che aveva approfittato del malore occorso allo stesso Patroclo (XVI, 785-867) perché colpito dal dio Apollo (un evento facilmente interpretabile come un collasso per lo sforzo eccessivo sostenuto in continui combattimenti). C'è da pensare che allora Patroclo sarebbe morto comunque, anche senza l'intervento di Ettore. Quindi, argomentano le due diaboliche gemelline, forse Ettore non era sopravvissuto al colpo di chermadio, ma era morto dentro le mura di Troia dopo pochi giorni, e per questo motivo il suo corpo era così in buono stato. Però non si poteva inventare un poema per lodare la capacità di Achille di uccidere un troiano qualsiasi, ma bisognava trovare un nemico glorioso come il comandante in capo dell'esercito nemico. Più è forte l'avversario, più grande è la gloria di chi riesce a batterlo. Lo stesso Achille, poi, era stato capace di razziare un buon bottino uccidendo dei semplici pastori dei villaggi vicini e di rapire un po' di donne, ma si era guardato bene dall'entrare in guerra nei momenti più caldi della battaglia, salvo intervenire, fresco e riposato, quando i nemici erano quasi esausti ma rischiavano comunque di travolgere l'esercito acheo, ormai vicino alla disfatta. Per di più, altri autori narrano che Achille avesse cercato di sottrarsi alla chiamata alle armi travestendosi da donna, un espediente non molto dignitoso. Quindi se l'Iliade è stata composta per lodare Achille, anziché uno dei molti guerrieri più coraggiosi e valorosi di lui, ciò vorrebbe dire che anche l'autore di questo poema è stato "pagato" per farlo; anche se, diversamente dal caso dell'Odissea, gli indizi che ha inserito sono ancora più difficili da individuare, perché non viene continuamente lodata l'arte dell'inganno, ma si insiste piuttosto su una volontà divina e sul destino di gloria che gli dei hanno riservato al protagonista. Chi sarebbe stato il committente dell'opera? Forse Neottolemo, come dicevo prima, o magari il padre di Achille, il ricco e potente Peleo, che era stato a sua volta un guerriero dalla fedina penale tutt'altro che immacolata. In effetti, gli eroi della mitologia e dell'antichità, visti con gli occhi di noi moderni cittadini benestanti,  rispettosi delle leggi e del galateo, non appaiono tanto diversi dai pirati che assalivano le navi mercantili, dai cowboy che razziavano bestiame, o dai gangster che si affrontavano in continue faide, tra rapine, rapimenti e violenze di ogni genere! E anche loro, in fondo, hanno avuto dei cantori, o meglio dei romanzieri o dei registi, che ne hanno narrato le gesta. Ma spesso erano tutt'altro che degli eroi, ma piuttosto dei… simpatici delinquenti, o, se preferite, delle adorabili canaglie. Sia pure con un loro peculiare codice di uomini d'onore.  E magari, tanti altri personaggi passati alla storia come eroi e valorosi combattenti, per i loro nemici erano solo dei criminali di guerra; ma si sa che la Storia viene sempre  scritta dai vincitori. Ogni epoca, si può dire, ha avuto il suo Omero. Anche se magari non così geniale e astuto come il "nostro", inimitabile, Omero.
Gli accademici forse storceranno il naso anche di fronte a questa interpretazione dell'Iliade, ma ecco cosa scrive la classicista Barbara Graziosi dell'università di Princeton nel suo recentissimo libro "Omero" (Hoepli editore, 2019): «Il dolore di Achille viene osservato e descritto in modo così minuzioso che ha attirato l’attenzione dei medici. In un libro importante [Achilles in Vietnam, del 1994)], lo psichiatra Jonathan Shay gli diagnostica un disturbo post-traumatico, indicando punto per punto le corrispondenze fra il comportamento di Achille e i sintomi accusati da molti veterani del Vietnam da lui trattati: la mēnis [l’ira funesta], nell’analisi di Shay, ha notevoli punti in comune con la rabbia sfrenata e furibonda provata dai suoi pazienti. In entrambi i casi, sostiene Shay, il trauma comincia con un tradimento di ciò che viene considerato giusto dalle norme sociali che governano il contesto specifico in cui agisce il combattente; ciò provoca una riduzione dell’orizzonte morale del soggetto e una completa perdita del controllo quando succede qualcosa di terribile entro questo ambito ridotto: tipicamente, la morte di un commilitone molto vicino. Come Achille, molti combattenti moderni continuano a provare una rabbia fortissima e un pesante senso di colpa, anche a distanza di molto tempo dagli eventi che avevano innescato in loro un accesso di violenza ». Quindi, non molto diverso da quanto hanno scritto le sorelle Lagerhorn, anche se probabilmente la stessa Graziosi non ha mai letto il loro libro.  
Ma l’episodio, così come appare alla lettura anche al giorno d’oggi, è davvero emozionante e ricchissimo di pathos, il che dimostra che, come al solito, la capacità di introspezione psicologica e le descrizioni di Omero, quando vuole, sono estremamente realistiche e anche attualissime, altro che miti di tempi lontani senza alcun contatto con la realtà!

Il sito di Malena Lagerhorn (in inglese e in svedese!) https://ilionboken.wordpress.com/ 

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