Capitolo 4 - Ma chi era questo Omero?
“Il poeta può sopportare tutto.
Tranne un errore di stampa.”
Oscar Wilde
Busto di Omero, copia romana di opera greca, Roma, Museo
Capitolino
Dall’antichità fino ai
giorni nostri, nei luoghi di potere è echeggiato il canto e la musica degli
artisti che sbarcavano il lunario tessendo le lodi del potente di turno, o
semplicemente cercando di allietarlo con belle storie. Non solo musicisti e
letterati, ma anche pittori, scultori, vasai e una miriade di ottimi artigiani
si spostavano da una corte all’altra, diffondendo le proprie tecniche e il proprio
stile in vari angoli del pianeta. A volte tali artisti erano così bravi che le
loro opere hanno continuato ad essere ammirate per parecchi secoli dopo che era
venuto meno il motivo per cui erano state create, e il cantore è diventato più
famoso del suo mecenate: quanti saprebbero dire presso chi lavorasse Dante
Alighieri?
Ma pensiamo anche al più
famoso poeta di Roma, Virgilio, che scrisse l’Eneide per compiacere l’imperatore Augusto e dare lustro
alla sua casata, attribuendo all’eroe troiano Enea il merito di aver fondato la
dinastia. Il lavoro di Virgilio ricalca a volte spudoratamente i poemi omerici:
Ulisse è sceso nell’oltretomba? Bene, anche Enea ci fa una capatina. Achille si
è fatto forgiare le armi dal dio Efesto? Eccole belle e pronte anche per Enea.
Gli Achei facevano le gare di corsa con i carri? Subito si organizza una gara
tra le navi. E così via per cinquecento pagine. E siccome un po’ di
campanilismo non guasta mai, ecco arrivare in aiuto di Enea anche delle truppe
dalla lontana Mantova, città che aveva dato i natali allo stesso Virgilio. In
effetti, Virgilio utilizzò una serie di leggende che già esistevano e ne
aggiunse delle altre inventate di sana pianta per narrare le gloriose origini
della Gens Iulia: oggi la chiameremmo una “compilation a tema”. Se ne
vergognava un pochino, a dire il vero, tanto che in punto di morte ordinò che
fosse bruciata: il che non avvenne per l’intervento dello stesso imperatore, e
per la gioia degli studenti dei duemila anni successivi.
Lucignano (Arezzo). Affresco nel Palazzo Comunale,
raffigurante Publio Virgilio Marone
Altre opere celebrative nacquero
per esaltare la casa regnante dell'epoca attraverso la nobiltà dei suoi
antenati, oppure per motivi di propaganda ideologica e religiosa. I critici
letterari, che amano le parole difficili, hanno chiamato questo genere di
autori con l’appellativo di “panegiristi”, perché scrivevano il panegirico,
cioè un componimento finalizzato all’esaltazione dei meriti di un personaggio,
di una città o di un popolo. I primi esempi conosciuti risalgono alla Grecia
del VI secolo avanti Cristo, ma qualcosa di molto simile ha continuato ad
esistere fino ad oggi, passando dalle canzoni dei paladini medioevali alle
pompose opere realizzate per i regimi totalitari. Solo nell'epoca moderna,
grazie all'invenzione della stampa e all'alfabetizzazione di massa, qualche
autore è riuscito a campare "vendendo" le proprie opere, ma fino a
poco tempo fa un artista aveva sempre bisogno di un committente che lo
foraggiasse e talvolta lo proteggesse. A meno che non fosse ricco di suo o
avesse un altro lavoro. Persino gran parte delle scoperte scientifiche sono
state opere di preti o di nobili, cioè di gente che poteva vivere senza
lavorare. Ma la domanda fondamentale è: "A chi potevano servire l'Iliade e
l'Odissea?"
Si può ragionevolmente
pensare che anche Omero, circa dieci secoli prima di Virgilio, e pochi secoli prima degli antichi panegiristi, abbia
fatto qualcosa di simile: prendere una serie di leggende, adattandole e
legandole assieme attraverso un filo comune. Naturalmente si trattava di
esaltare la famiglia reale di allora, composta da Telemaco e Penelope, ed
attribuire loro una dignità regale confermata non solo dal “miracoloso” e
vendicativo ritorno del titolare Ulisse, ma anche dalla volontà divina. Omero non fa
“mitologia”, ma fa “mitizzazione”, ovvero si occupa di trasformare un
personaggio realmente esistito (il protagonista Ulisse nel caso dell’Odissea,
Achille nel caso dell’Iliade) in un essere semidivino, che interagisce frequentemente con gli dei. Gli
altri possono essere potenti sovrani o grandi guerrieri, ma sono sempre umani: possono
invocare le divinità, ma esse non rispondono se non tramite qualche fenomeno
naturale, mai “dialogando”, come invece fa la dea Atena con Ulisse, oppure la ninfa
Teti con suo figlio Achille (il quale si mette addirittura a parlare con il
proprio cavallo, nel finale del diciannovesimo libro dell’Iliade!). D’altra
parte, quando gli antropologi chiedono a qualche anziano capotribù di uno
sperduto villaggio di parlare dei propri antenati, si sentono narrare delle
storie tipo questa: “Mio padre era un grand’uomo, ma mio nonno era un uomo
eccezionale; il bisnonno addirittura sapeva fare cose che nessun altro uomo ha
saputo ripetere, mentre i miei antenati erano degli Dei”. Del resto se
chiedessimo a molti di noi come si chiamavano i nostri trisnonni, che mestiere
facessero, e di dove fossero originari, non saremmo in grado di rispondere.
Naturalmente noi possiamo anche non credere all’origine divina del buon capotribù, ma ciò non toglie
che egli abbia avuto realmente un padre, un nonno e degli antenati! In qualunque dinastia il sovrano discende da un Dio o da un
eroe leggendario; quindi c'è bisogno di inventare una mitologia che lo
riguardi. Se poi qualche leggenda preesistente si può adattare al nuovo
personaggio, tanto meglio: ecco spiegato come mai ci sono continue analogie tra
miti anche molto distanti tra loro sia nel tempo che nello spazio. Questa
fondamentale distinzione tra mitologia e mitizzazione è proprio uno dei punti
chiave che ha impedito una piena comprensione dei poemi omerici fino ad oggi.
Vista infine l’influenza di Penelope come
regina, era bene esaltare anche la condizione femminile: da qui l’importanza di
personaggi come Arete, Circe, Calipso, Nausicaa, che sono comunque in grado di
soggiogare il povero maschio con il potere politico, le arti magiche o
semplicemente l’ingenuità e la bellezza.
Ma… nella vita dei cantori
c’è sempre un ma… Omero ha trovato il modo di inserire tutta una serie di
messaggi, più o meno criptici, per far capire come la vicenda si fosse sviluppata veramente. In pratica,
Omero, che alcuni biografi antichi dicevano “amante degli enigmi”, ha
raccontato un autentico “thriller”, fornendo tutti gli indizi per scoprire
l’assassino, senza però fornire la soluzione finale.
Ho quasi l’impressione che
ci stia osservando con un sorriso beffardo pensando: “Razza di zucconi, ce ne
avete messo di tempo per scoprire come sono andate le cose!”. E il bello è che
Omero trova anche il modo di parlare di se stesso in modo lusinghiero, come
sempre mettendo i discorsi in bocca ad altri. Ed ecco infatti che [...]
Fin dall’antichità è sorto
il problema di capire chi fosse in realtà Omero, e quale origine avessero avuto
i suoi poemi più famosi, ossia l’Iliade e l’Odissea, per non parlare di alcune
operette minori che gli vengono attribuite. In realtà non c’è quasi niente di
certo: tutto ciò che è stato detto e scritto fino ad oggi appartiene al campo
delle ipotesi, non suffragate però da alcuna “prova” inoppugnabile. Talvolta
queste ipotesi si sono consolidate, tanto da apparire come fatti del tutto
acquisiti e indubitabili: niente di più sbagliato! Diceva Sherlock Holmes: «È
un errore enorme costruire teorie prima di avere in mano tutti gli elementi.
Senza accorgersene, si cominciano a deformare i fatti per adattarli alle
teorie, anziché accordare le teorie ai fatti».
Riassumiamo brevemente
quanto sembra emergere dagli studi di filologi, storici ed archeologi: in base
a vari elementi, si pensa che Omero fosse un poeta vissuto in Grecia intorno all’VIII
(alcuni dicono VI) secolo avanti Cristo, ma che gli eventi da lui narrati
risalgano al XIII-XII secolo circa avanti Cristo, poiché le caratteristiche
della società e della tecnologia (per esempio le armi di bronzo), sono molto
più arcaiche di quelle dell’ottavo secolo. Purtroppo non si trova niente che
possa far risalire gli avvenimenti a prima dell’ottavo secolo: né scritti, né
vasi, né affreschi, né altro che possa essere messo in relazione con i
personaggi omerici, se non a costo di acrobatici esercizi di fantasia, per non
dire di vere e proprie forzature.[...]
In epoca romana, il poeta
Orazio si permetteva di sbeffeggiare il suo illustre predecessore per le sue
(presunte) incongruenze, affermando che “Ogni tanto dorme il buon Omero”
(“Quandoque bonus dormitat Homerus”). Nel XVII secolo l’abate François Hédelin
D’Aubignac e Giambattista Vico utilizzarono
il termine “questione omerica” per indicare la miriade di problemi irrisolti, e
apparentemente irrisolvibili, legati alla persona di Omero e alla genesi dei
suoi poemi: un autentico “mattone” indigesto per i
poveri studenti e gli altrettanto poveri insegnanti. La disputa sulla questione omerica è ancora viva
ai nostri giorni e quanto ora abbiamo riferito è solo un breve cenno.
Ma a questo punto, alla
luce di quanto sta emergendo dal nostro studio, si può tentare di rispondere ad
alcune domande fondamentali: Omero è dunque un personaggio realmente esistito?
Ora si può pensare realisticamente di sì, anche se non si sa niente di certo: i
suoi biografi hanno lavorato molto di fantasia. Ed è sempre lui l’autore di
entrambi i poemi? Anche ciò è probabile: potrebbe pure essere che egli abbia
scritto solo l’Odissea, e che l’Iliade fosse un testo che esisteva in
precedenza, al quale sono state apportate alcune modifiche utili a far quadrare
i conti: del resto anche i cantori descritti
nell’Odissea, come Femio e Demodoco, sono due poeti diversi, che narrano
però le stesse cose.
Ma i poemi raccontano dei
fatti realmente accaduti, o sono soltanto una serie di miti che non trovano
riscontro nella realtà? Adesso tale concetto è da rivedere: con queste chiavi,
la percentuale di invenzione mitologica si abbassa drasticamente, ed aumenta
invece quella di realisticità di entrambi i poemi. I miti non nascono dal
nulla, ma sono funzionali allo svolgersi del racconto. Le differenze
stilistiche [...]
Scompaiono così anche
le apparenti incoerenze, che avevano fatto pensare ad un’opera di più cantori,
anziché a quella di un unico autore che ha ben chiaro che cosa vuole raccontare
e perché. Nella seconda parte di questo
libro esamineremo ulteriori possibili spiegazioni alternative, e potremo vedere
come un’altra chiave, forse ancor più sorprendente, ci consenta di individuare
l’origine di certe mitologie di cui finora non si è mai capito molto, nonché di
chiarire meglio ulteriori punti oscuri a cui abbiamo accennato, in particolare
riguardo alla datazione dei poemi.
Riepilogando, invece, le
interpretazioni che vengono insegnate tutt’ora nelle scuole e nelle università
di tutto il mondo, i poemi omerici sembrerebbero un caso praticamente
unico, fuori da tutti gli schemi e da tutte le logiche. Senza uno scopo, senza
un autore, senza un committente, e che
raccontano storie mai avvenute di personaggi mai esistiti, in luoghi
introvabili. Forse c’è qualcosa che non va.
[...]
Appartengono ai Albanesi tutti i miti che voi pensate che sono greci vi sbagliate perche sono tutti illyrians pelasgo ETRUSCO Albania
RispondiElimina...in realtà la cosa non sta in piedi, dall'inizio alla fine. E' interamente basata su di una radicale, totali incomprensione non dico dell'Odissea, ma dei suoi stessi presupposti, oltre che -ma è conseguenza più che logica- dei suoi significati.
RispondiEliminaOltretutto, il punto di partenza, la "questione omerica", è in sè e per sè un tema vecchio e scarsamente significativo.
Sarebbe come se potessimo dire che l'importanza es i significati della Bibbia vanno interamente messi sotto ipoteca e ridimensionati perchè non ne conosciamo gli autori.
Ma l'importanza di queste opere è oggettiva, ed è attestata lungo alcuni millenni di storia. Pretendere di arrivarsene qui, e con tutta questa leggerezza e sicumera far mostra di aver capito tutto, e per primo, e definitivamente, io -chiedo scusa- lo trovo soprattutto comico.
la cosa sta in piedi benissimo; la radicale, totale incomprensione dell'Odissea è proprio di chi ha fatto questo commento: non ha mai capito,e non vuole capire
RispondiEliminaL'unica cosa che mi convince è che Omero (o i tanti per lui) non fa “mitologia”, ma fa “mitizzazione” e , dico io, i coevi sapessero a chi si stesse riferendo. Ma credo che non sia una novità.
RispondiEliminainvito chi ha fatto questo commento ad andare a leggere le altri parti di questo sito, e magari anche tutto il libro, dato che questo articolo, come mostrano le molte parentesi quadre, è solo un estratto sintetico di un discorso molto più lungo. Capire che Omero non fa “mitologia”, ma fa “mitizzazione” è poi un passo fondamentale per la comprensione di tutto quanto ci ha lasciato
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