Capitolo 2 - Filottete, chi era costui?
“Dategli una maschera e vi dirà la
verità”
Oscar Wilde
Telemaco arriva dunque a
Pilo, dal vecchio re Nestore, che era stato uno dei capi della spedizione a
Troia. Gli chiede notizie del padre e, nonostante che la dea Atena, stavolta
sotto le spoglie di Mentore, lo abbia appena incoraggiato a sperare, al solito
non sembra dubitare della sua morte:
Ma tutti gli altri che coi
troiani lottarono,
sappiamo dove ciascuno di
triste fine perì;
di lui persino la morte ha
reso ignota il Cronide (III, 86-88)
Nestore rievoca le sorti
degli Achei sotto le mura di Troia e loda Ulisse:
Ebbene, là mai nessuno volle
con Odisseo misurarsi
d’ingegno, ché troppo ci
superava Odisseo luminoso
in tutti gli inganni, il
padre tuo (III, 120-122)
E poi osserva come Ulisse l’ingannatore
rassomigli a Telemaco (e ora cominciamo a capire perché…).
Quindi comincia a narrare
dei difficoltosi ritorni a casa dei vari comandanti achei e se ne esce subito
con una dichiarazione molto interessante:
Bene -mi dicono- sono
arrivati i Mirmidoni forti con l’asta
Che il figlio glorioso del
magnanimo Achille guidò,
e bene Filottète, lo
splendido figlio di Peante (III, 188-190)
Eccolo qui il nostro eroe,
colui che sarà il vero esecutore di tutto il piano per eliminare gli odiosi
pretendenti. Ma chi era questo Filottete? Vari racconti mitologici narrano che
Eracle (Ercole), moribondo e sofferente per un avvelenamento, voleva togliersi
la vita facendosi dare fuoco sulla propria pira funeraria; nessuno però aveva
il coraggio di accendere il rogo, tranne appunto Filottete. Per questo gesto
Eracle, riconoscente, gli donò il suo arco e le frecce, con i quali Filottete
divenne un arciere infallibile e re di Etolia. Egli aveva promesso di non dire
a nessuno dove si trovava la tomba di Ercole, ma un giorno, con una di quelle
“furbate” tipiche degli Achei che abbiamo cominciato a conoscere, pensò bene di
indicare il luogo non a voce, ma battendo il piede per terra nel punto esatto.
Anfora con Ercole e Filottete; Ercole Farnese, III secolo
d.C., Museo Archeologico Nazionale di Napoli; statua di Ercole a Udine
Naturalmente gli dei
punirono questo comportamento scorretto: infatti, mentre guidava un contingente
di Achei alla volta di Troia, venne ferito proprio al piede da un serpente (o
forse da una delle sue stesse frecce). La lesione si infettò tanto da emanare
un puzzo micidiale; inoltre gli acuti lamenti del povero ferito angosciavano
talmente i compagni che essi si videro costretti ad abbandonarlo sull’isola di
Lemno, dove rimase vivendo di espedienti per quasi tutta la durata della
guerra. Omero racconta nell’Iliade del suo gruppo di guerrieri:
di questi guidava Filottete
esperto dell’arco
sette navi: e cinquanta
rematori in ognuna
salivano, esperti a
combattere gagliardamente con l’arco.
Ma egli giaceva in un’isola,
soffrendo violenti dolori,
in Lemno divina, dove lo
lasciarono i figli degli Achei,
che spasimava per la piaga maligna di serpe funesto;
Egli giaceva laggiù
straziato, ma presto dovevano ricordarsi
gli Argivi, presso le navi, del
sire Filottete (Iliade II, 718-725)
Infatti una profezia
avvertiva che Troia sarebbe caduta solo grazie alle armi di Eracle. Per cui
Filottete, con le armi ereditate dal forzuto eroe, fu recuperato nell’isola,
curato e rimesso in sesto dai medici achei. Proprio una delle sue frecce
ucciderà Paride, il principe troiano che
aveva dato inizio a tutti i guai rapendo la bella Elena, moglie di Menelao. E’
importante notare che Omero non racconta che Filottete fu abbandonato a Lemno
per ordine di Ulisse: questa è un’elucubrazione dei mitografi successivi, poi
ripresa anche da Sofocle. Quindi non c’è motivo per pensare che Filottete
dovesse covare del risentimento nei confronti di Ulisse o dei suoi familiari.
L’opera di Sofocle fu rappresentata per la prima volta nel 409 avanti Cristo,
mentre Omero è di almeno tre o quattro secoli precedente, quindi è molto più
vicino agli avvenimenti (che, come argomenteremo nella seconda parte,
confutando tutte le altre datazioni, si sarebbero svolti intorno all'ottavo
secolo avanti Cristo). Per cui si può pensare che Omero sia un testimone...
oculare delle vicende (mica male per uno che dovrebbe essere cieco!), mentre
Sofocle parli per sentito dire. E raccontando
che Filottete è stato abbandonato sull’isola per colpa di Ulisse finisce
per ingarbugliarsi da solo nella sua stessa narrazione, tanto da dover fare
intervenire addirittura il fantasma di Ercole (il classico “deus ex machina”)
per sbrogliare la matassa.
Riepilogando, Filottete aveva sicuramente due
caratteristiche: la prima, l’abbiamo vista, quella di essere un eccellente
arciere; l’altra, che non viene mai messa in evidenza, ma che doveva esserci
sicuramente, era quella di essere zoppo, per le conseguenze della grave
infezione al piede. E vedremo come questo particolare sarà uno dei motivi di
certi strani comportamenti del falso Ulisse che giungerà ad Itaca; mentre al
contrario, il vero Ulisse, di cui si raccontano le imprese in giro per il
mondo, è un eccellente corridore in perfetta forma.
Ma c’è un altro personaggio
della mitologia classica che è tipicamente zoppo: il dio Efesto (Vulcano), che
lavora come fabbro nella sua officina. Si noti che di solito gli antichi
disprezzavano la deformità fisica, mentre nel caso di Efesto questo grave
handicap non gli aveva impedito di essere un dio e soprattutto di sposare
Afrodite, cioè Venere, la più bella delle dee.
E vedremo come ci siano continui rimandi tra le vicende di Efesto e
quelle di Filottete. Del resto anche lo stesso Filottete, in tempi
migliori, era stato uno dei pretendenti
alla mano di Elena, la più bella delle donne. E i pretendenti, prima che
venisse scelto come sposo Menelao, si erano giurati un leale patto di reciproca
assistenza, da cui era derivato l’obbligo morale di aiutare lo stesso Menelao a
riconquistare la moglie rapita. A parte naturalmente ogni considerazione di
carattere economico, visto che il buon Paride, oltre che la regina, si era pure
fregato abilmente il tesoro della corona, e che viceversa gli Achei, in caso di
vittoria, si sarebbero spartiti tutti i beni della ricchissima città nemica.
Ma un’altra notizia
clamorosa potrebbe riguardare Filottete: si narra che dopo essere rientrato
felicemente in patria sia ripartito
errando a lungo per il mare e fondando numerose città. Quindi il celeberrimo
inizio dell’Odissea potrebbe non riguardare Ulisse, che infatti viene nominato
solo dopo venti versi, bensì proprio Filottete!
L’uomo ricco di astuzie
raccontami, o musa, che a lungo
errò dopo aver distrutto la
rocca sacra di Troia;
di molti uomini le città vide
e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore
sul mare,
lottando per la vita e per il
ritorno dei suoi (Odissea, I, 1-5)
Il primo verso dell’Odissea ha sempre messo in difficoltà i traduttori, perché contiene la parola polýtropos (πολύτροπος), l’aggettivo che spesso descrive Ulisse, composto di poli- (molto) e -tropos (volgere). Quindi uomo “che si volge da molte parti”, cioè dai molti giri, dai molti viaggi, oppure ricco di astuzie, o di multiforme ingegno, come viene spesso tradotto, ma anche dalle mille sfaccettature, o dalle molte facce, dai molti aspetti, ed è questo proprio il caso del nostro protagonista, che potrebbe sembrare Ulisse, ma è un altro.
Dopo questo shock non da
poco, torniamo alla nostra storia:
Nestore invita Telemaco a recarsi a Sparta, a casa di Menelao, non prima di
avere nuovamente accennato alle vicende di Agamennone. Anche Menelao rievoca la
storia del fratello, che ricorda per molti versi quella degli stessi Ulisse e
Penelope. Rientrato a Micene dopo la guerra, Agamennone è stato ucciso a
tradimento durante un banchetto da Egisto, amante della moglie Clitemnestra.
Poi il figlio Oreste ha provveduto a vendicare la morte del padre,
guadagnandosi sempiterna gloria (e il diritto al trono). Come abbiamo già
visto, il racconto è un modo per suggerire a Telemaco come comportarsi. Da
notare altre similitudini: il traditore tende un agguato con 20 uomini, dopo
aver messo un uomo di sentinella a scrutare
il mare, la stessa cosa che tenteranno di fare i Proci con Telemaco.
E intanto, sia Menelao che
Telemaco non perdono nuovamente occasione per far capire al lettore, o meglio
all’ascoltatore, che il povero Ulisse è
morto e non potrà tornare mai più. Mentre il figlio di Nestore, che ha
accompagnato Telemaco, non esita a mostrare come si potrebbe aiutarlo:
Molte pene un figlio di padre
lontano è costretto a soffrire
in casa, uno che altri
difensori non abbia,
come ora Telemaco ha il padre
lontano e non ha nessun altro
che lo difenda dalla sventura
tra il popolo (IV, 164-167)
Dato che la scena avviene
mentre Menelao sta presenziando ad un banchetto di nozze, possiamo anche
presumere che ci fossero parecchi invitati provenienti dalle località vicine,
tra i quali magari reclutare i difensori necessari. Ma questa è solo una
supposizione, naturalmente. Come pure si può supporre che quando Menelao regala
a Telemaco un prezioso cratere d'oro e d'argento, sottolineando per due volte
in momenti diversi (IV, 617 e XV, 117) che esso era opera di Efesto, questo serva proprio per far intuire che ci
sarà bisogno di qualcuno simile allo "zoppo divino" per risolvere la
faccenda.
Poi Menelao racconta di
quando si trovava nell’isola di Faro, senza più niente da mangiare e senza
vento per tornare in patria, e di come si fosse fatto aiutare dalla figlia di
Proteo, il Vecchio del mare che era in grado di cambiare continuamente aspetto
e anche di fare profezie, ma solo se trattenuto strettamente. Su suggerimento
della fanciulla, Menelao ed altri tre compagni si travestono da foche per
tendere un agguato al Vecchio e interrogarlo. Preso e immobilizzato, Proteo
raccomanda quindi di tornare fino in Egitto dove fare dei sacrifici agli dei,
per riprendere finalmente incolume la rotta verso casa.
Che bisogno c’era di
raccontare questo episodio? Forse è un modo per suggerire come anche Filottete
dovrà mascherarsi da Ulisse per battere i
pretendenti. Anche i personaggi sono un padre e una figlia (che riunisce
i caratteri di Penelope e Telemaco), che deve tessere un inganno per ottenere
il suo scopo; e c’è pure una situazione statica senza via d’uscita, con gente
che mangia le provviste su di una piccola isola, con quattro uomini che devono
agire, così come al momento giusto saranno in quattro a compiere la strage dei
Proci: Telemaco, “Ulisse” (ovvero Filottete), il porcaro Eumeo e il mandriano Filezio.
Menelao inoltre si lamenta del fetore emesso dalle pelli delle foche che lui e
i compagni usano per travestirsi: molto raramente la “puzza” fa la sua comparsa
nella mitologia, che tende ovviamente a privilegiare argomenti più elevati. Ma,
come abbiamo visto, pure la ferita di Filottete, quando era ancora infetta,
presentava in modo drammatico lo stesso problema: quindi anche questa può
essere un’indicazione per richiamare alla mente la sua vicenda.
Come sempre, anche i
racconti mitologici più improbabili non sono fini a se stessi, ma suggeriscono
in modo nascosto quale sarà l’esito finale. Osserviamo che, pure in questo
caso, i personaggi immaginari sono gli unici a dire che Ulisse è ancora vivo.
Proteo afferma infatti che Ulisse è naufragato sulla lontana isola della ninfa
Calipso e non è in grado di tornare; poi profetizza a Menelao quale sarà il suo
futuro: ma se è in grado di conoscere il futuro, come mai non sa prevedere il
destino di Ulisse?
Allo stesso modo possiamo
vedere il finale del IV libro, con la dea Atena che appare in sogno a Penelope
come il fantasma della sorella, per tranquillizzarla del fatto che Telemaco sta
per tornare. Al che Penelope non perde tempo e domanda del marito:
Se un nume sei, e voce
ascolti di numi,
dimmi dunque anche di quel
misero,
se ancora è vivo e vede la
luce del sole
oppure è morto, è nelle case
dell’Ade”
E rispondendo le disse
l’evanescente fantasma:
“No, questo non te lo dirò
chiaramente
se è vivo o morto: è male
fare chiacchiere al vento (IV, 830,837)
Sorella dispettosetta, eh?
saltiamo il capitolo 3 e passiamo a un estratto del capitolo 4 https://astutoomero.blogspot.it/2016/05/capitolo-4-ma-chi-era-questo-omero.html
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