“Le convinzioni, più delle bugie,
sono nemiche pericolose della verità”.
Friedrich Nietzsche
Penelope e Ulisse, Parigi, Louvre, V secolo a.C.
Chi era Omero? E chi era
Ulisse? C’è una verità nascosta dietro gli immortali versi dell’Iliade e
dell’Odissea? Per tre millenni queste domande hanno appassionato, e nello
stesso tempo afflitto, generazioni di studiosi di tutto il mondo. L’Odissea di
Omero è forse il libro più conosciuto sulla faccia della terra. Chi non ha mai
sentito parlare di Ulisse (o Odisseo che dir si voglia) e delle sue
peregrinazioni per tornare all’amata isola d’Itaca, dalla fedele moglie
Penelope e dal figlio Telemaco? E quanti libri, e saggi, e romanzi, e dipinti,
e film, e persino comuni modi di dire
hanno per protagonisti il mitico Ulisse e suoi compagni di sventure?
Anche il più moderno dei mezzi elettronici, Internet, fornisce parecchi milioni
di pagine da consultare che contengono il suo nome. Ma quanti possono affermare
tranquillamente di aver letto tutto il poema, e di conoscerlo perfettamente? Probabilmente
non sono tantissimi, ma bisogna ammettere che sono comunque in buon numero.
Eppure, finora mai nessuno è stato così folle da pensare che il vero
protagonista dell’Odissea non sia… Odisseo, ma un personaggio molto più oscuro,
quasi sconosciuto, di cui anche nel testo si parla pochissimo: Filottète. Ma se
vorrete seguirmi nell’analisi del capolavoro omerico con questa insolita chiave
interpretativa, vi accorgerete che con essa si aprono quasi tutte le porte.
Insomma, come Shakespeare fa dire di Amleto, “in questa follia c’è del metodo”. Qualcuno potrebbe argomentare
che si tratti solo di mitologia, ma come dice giustamente il celebre
archeologo Louis Godart, «Le vecchie leggende affondano le loro
radici nella Storia ed è certo che alla base di qualunque mito
narrato dagli Antichi vi è una verità storica che la critica
moderna deve tentare di ritrovare e di spiegare».
Dunque cominciamo: per le
citazioni mi sono avvalso della traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, che è
tutt’ora una delle migliori e più fedeli al testo originale, confrontandola, in
caso di dubbio, con quelle di altri traduttori professionisti, e consultandomi
con grecisti esperti. Ho evitato le versioni poetiche classiche, tipo quelle
ottocentesche di Vincenzo Monti (per l’Iliade) o di Ippolito Pindemonte (per
l’Odissea), che non garantiscono lo stesso grado di fedeltà. In ogni caso, ogni
verso citato riporta l’esatta collocazione, in modo che i lettori più preparati
possano immediatamente confrontarlo con la versione originale in greco antico.
Vorrei inoltre chiedere a
coloro che hanno compiuto studi classici di provare a mettere da parte tutte le
spiegazioni tradizionali che hanno imparato al liceo o all'università, e di
sforzarsi di affrontare questa interpretazione con la mente sgombra da
pregiudizi: nel corso della trattazione
avremo modo di mettere a confronto le tesi "accademiche" con
quelle più o meno "eretiche", e anche di divagare su alcuni argomenti
che non riguardano direttamente Omero, ma molti altri racconti mitologici, confrontandoli
con gli eventi storici e i fenomeni naturali
che possono averli generati.
Per i più distratti,
invece, ricordiamo che i poemi omerici
narrano le vicende della guerra di Troia, provocata dal rapimento della bella Elena,
moglie del re acheo Menelao, ad opera del principe troiano Paride, figlio del
re Priamo. In seguito a tale gesto sconsiderato, gli Achei, detti anche Danai o
Argivi, organizzano una spedizione punitiva alla volta di Troia (chiamata anche
Ilio), per riprendere la regina rapita e
saccheggiare la città. La coalizione, comandata dal re di Micene Agamennone,
fratello maggiore di Menelao, comprende alcuni noti personaggi come Ulisse,
Achille, Patroclo, Nestore, Aiace e, naturalmente, il nostro Filottete. In
fondo a questo libro si trova un breve dizionario dei nomi e dei luoghi, per
aiutare il lettore a districarsi nel complesso mondo della mitologia, senza
appesantire la narrazione con spiegazioni superflue. Accanto ai nomi greci
delle divinità ho comunque indicato anche il corrispondente nome romano per
facilitarne l’identificazione.
Paride rapisce Elena, arazzo, castelli della Loira, Francia;
Paride arciere, V secolo a.C., da Altino (Venezia)
Mentre l’Iliade è più che
altro una continua cronaca di battaglie, l’Odissea si occupa del “nostos”,
ovvero del complicato e talvolta drammatico ritorno a casa degli eroi achei
dopo dieci anni di assedio e la distruzione della città nemica. Il poema narra
che Ulisse ritorna a casa da solo, dopo una infinita serie di peripezie durante
le quali ha perso i compagni, e uccide a colpi di freccia tutti i Proci, cioè i
pretendenti alla mano di Penelope e al trono di Itaca, che si sono insediati
come padroni nella sua reggia. Poi Ulisse sarà destinato a riprendere il mare
in cerca di nuove avventure.
Ma è questa la verità? La
vicenda si è svolta veramente così, oppure Omero ci manda dei messaggi che ci
fanno capire che l’Odissea può essere letta in tutt’altro modo? Molti credono
di conoscere l'Odissea perché hanno ben scolpite nella mente le fantastiche
avventure di Ulisse, da lui stesso raccontate nella parte centrale del poema,
ma le parti più interessanti e realistiche si trovano all'inizio, con il
viaggio di Telemaco alla ricerca di alleati per sconfiggere i Proci, la
cosiddetta Telemachìa, e alla fine, con l'arrivo simultaneo di tutti i
congiurati. Alcuni commentatori ritengono che
la parte iniziale sia semplicemente un
prologo poco brillante di un’opera che solo all’apparire di Odisseo
acquista tono e spessore. Al contrario, come vedremo, proprio la trascurata Telemachia
fornisce una sbalorditiva soluzione per la corretta interpretazione di entrambi
i poemi omerici!
L'Odissea è convenzionalmente divisa in 24 libri,
contraddistinti da numeri o da lettere dell’alfabeto greco. Già nei primi
libri, l’idea che Ulisse sia morto viene affermata più volte con decisione, e
da personaggi reali, mentre l’ipotesi che sia ancora vivo è sempre espressa in
modo dubitativo, e da personaggi più o meno immaginari, come gli dei, ai quali
si può tranquillamente attribuire qualsiasi affermazione, visto che raramente
si preoccupano di smentirla. Ecco dunque che la narrazione si apre con il
concilio degli dei, che si stanno accordando per far finalmente tornare Ulisse
dalla sperduta isola di Ogigia; qui l’ha fatto naufragare il potente dio del
mare Poseidone Enosictono (cioè Nettuno “lo Scuotiterra”), che odia Ulisse
perché ha accecato e sbeffeggiato suo figlio Polifemo. Per cui Zeus (Giove), il
più potente degli dei, spiega:
Perciò Poseidone Enosictono,
se pur non l’uccide,
fa errare lontano dalla sua
terra Odisseo (libro I, versi 74-75)
Già quel “se pur non
l’uccide” è significativo: perché mai Poseidone non dovrebbe fare fuori anche
Ulisse, come ha fatto con tutti i suoi compagni?
Stoccolma, Castello di Drottningholm, statua di Nettuno;
Berlino, fontana di Nettuno; la Saliera di Benvenuto Cellini, con Nettuno(il
Mare) e la Terra, Vienna, Kunsthistorische Museum.
Ma ora l’azione si sposta a Itaca, dove
Telemaco
Sedeva tra i pretendenti,
crucciato nell’anima,
sognando il nobile padre nel
cuore, se a un tratto venisse
e liberasse da tutti i
pretendenti la casa
e riavesse il suo onore e
sopra i suoi beni regnasse.
Questo, seduto tra i
pretendenti, sognava. (I, 113-117)
Appunto, il ritorno del
padre è solo nei pensieri di Telemaco, che poi si lamenta dell’arroganza dei
pretendenti:
questo piace a costoro, la cetra, il cantare,
oh certo!, perché divorano impunemente l’altrui,
gli averi d’un uomo di cui l’ossa bianche alla pioggia
marciscono
sopra la terra, o forse nel mare l’onda le rotola.
Ma se lo vedessero
tornare qua in Itaca,
tutti farebbero voto
d’esser più lesti di piedi,
che ricchi d’oro o di
splendide vesti.
Invece è finito cosi, di
mala morte, e noi non abbiamo
conforto più, se anche
qualcuno fra gli uomini
dice che tornerà; il
giorno del suo ritorno è perduto! (I, 159-168)
Evidentemente,
il buon Telemaco non amava molto le attività musicali; sembra quasi che proprio
a lui sia dedicata questa frase di William Shakespeare: "L’uomo che non ha musica nel cuore ed è
insensibile ai melodiosi accordi è adatto a tradimenti, inganni e rapine; i
moti del suo animo sono spenti come la notte, e i suoi appetiti sono tenebrosi
come l'Erebo: non fidarti di lui.".
Forse, se i Proci se ne fossero accorti, la storia dell'Odissea sarebbe
finita in tutt'altro modo!
E
comunque, qui si trovano già tutti i temi della vicenda: Telemaco sa che il
padre è morto, ma capisce che solo il suo ritorno potrebbe liberare la casa da
tutti i parassiti che la infestano. Così la dea Atena, che ha assunto le sembianze di Mente, capo dei
navigatori Tafi, si preoccupa di rincuorarlo e dargli i giusti consigli. Da
notare che tutti coloro che potrebbero dare una testimonianza della congiura
che sta per essere messa in atto sono
destinati a sparire rapidamente. Mente è un mercante sempre in viaggio, e se
anche qualcuno l’avesse potuto rintracciare, poteva sempre rispondere di non saperne
niente, dato che quella che parlava con la sua voce era la dea Atena e non lui.
Come vedremo, qualcosa di simile si
potrà dire del quasi omonimo Mentore, l’amico di famiglia, del popolo dei
Feaci, di Laerte, della nutrice Euriclea, di Teoclimeno e persino del cane Argo!
E dunque Mente-Atena
dichiara:
Perché sulla terra morto
non è Odisseo luminoso,
ma ancora vivo nel vasto
mare è impedito,
forse in un’isola in
mezzo all’onde, gente feroce l’ha in mano,
selvaggia, che suo
malgrado lo tiene.
Ma farò un vaticinio,
come dentro nell’animo
gl’immortali m’ispirano,
e credo avrà compimento,
per quanto io non sia né
indovino, né esperto d’uccelli:
non molto tempo lontano
dalla sua terra paterna
starà, neppure se ferrea
catena lo tiene;
saprà tornare perché è
ricco d’ingegno (I, 196-205)
Cioè
afferma di non essere un indovino, ma di voler fare una previsione: come dire,
“sono un bugiardo, puoi credermi!”. Ed infatti mostra di smentirsi subito:
Molto spesso ci
trovavamo noi due,
prima che si imbarcasse
per Troia […]
Da allora non ho più
visto Odisseo, né me lui (I, 209-212)
e
Telemaco, di rimando:
L’hanno annientato, come
nessuno tra gli uomini (I, 235)
L’hanno travolto le
Arpie, senza gloria,
non visto, ignoto è
scomparso: e a me gemiti e pene
ha lasciato (I, 241-243)
E Mente dà il consiglio
giusto:
T’esorto intanto a
pensare
come puoi toglierti i
pretendenti di casa (I 269-270)
Va’ a Pilo, prima di
tutto, il chiaro Nestore interroga,
e di là a Sparta, dal
biondo Menelao,
che è tornato per ultimo
fra gli Achei chitoni di bronzo.
E se del padre saprai
vita e ritorno,
quantunque stremato, un
anno ancora sopporta:
se invece senti che è
morto, che non è più,
allora tornato alla
terra paterna,
alzagli il tumulo,
offrigli i doni funebri,
molti, come è giustizia,
e affida a un marito la madre.
Quando infine avrai
fatto e compiuto ogni cosa,
medita allora nell’animo
e in cuore
come potrai massacrare
in casa tua i pretendenti,
se di nascosto,
d’inganno, o apertamente: non devi
fare il bambino che non
hai tale età.
Non senti che gloria s’è
fatta Oreste divino
fra gli uomini tutti,
uccidendo l’assassino del padre,
Egisto ingannatore, che
il nobile padre gli uccise?
Anche tu, caro, poiché
bello e aitante ti vedo,
sii forte, che ci sia
chi ti lodi ancora fra i tardi nipoti.
Ma all’agile nave ormai
tornerò,
e ai compagni, che certo
sono irati aspettandomi.
E tu abbi a cuore la
cosa, e ai miei consigli da’ ascolto (I 284-305)
Davvero
un bel consiglio: istigazione all’omicidio, anzi, al massacro! Ma se
l’esortazione viene da una dea, come dire di no? Non dimentichiamoci comunque
che siamo in un’epoca all’alba della civiltà, quando i rapporti tra gli uomini
venivano frequentemente risolti in modo
brutale con la forza delle armi. Così va spesso il mondo… voglio dire, così
andava nell’età del bronzo…
Oreste
era il giovane figlio di Agamennone e Clitemnestra, la quale, assieme
all'amante Egisto, aveva assassinato a tradimento il comandante acheo appena
rientrato dalla guerra. Il riferimento alla vicenda di Oreste, che vendica il
padre uccidendo la madre e l'usurpatore, viene ripetuta più volte all'interno
del poema; già nei primi versi (I, 28-43)
ne parla nientemeno che Zeus, durante il convito degli dei. Tale
rievocazione è sempre sembrata del tutto incongrua, visto che il fatto sarebbe
avvenuto ben due anni addietro, ma alla luce della nostra interpretazione
diventa del tutto logica: anche Telemaco deve imitare Oreste, e in assenza del
padre e sovrano legittimo, eliminare coloro che tentano di usurparne il trono.
Leggendo bene il discorso di Mente, si deduce che anch'egli dà per scontato che
Ulisse ormai è morto e che Telemaco deve darsi da fare prima che sia troppo
tardi.
Ma
continuano le “dichiarazioni di morte presunta” di Ulisse. Mentre l’aedo Femio
canta le vicende della guerra di Troia e del penoso ritorno degli Achei,
Telemaco commenta:
Ché
non il solo Odisseo perdette il ritorno
a Troia, ma molti altri
eroi vi perirono (I, 354-355)
E
rivolgendosi ad uno dei capi dei pretendenti:
Eurimaco, perso è il
ritorno del padre:
non credo a notizia,
chiunque la porti,
né profezia mi
interessa, se a volte la madre,
profeti invitando a
palazzo, ne interroga (I, 413-416)
Le
vicende si svolgono in un periodo storico in cui il diritto regale non è ancora
codificato esattamente. La dignità di re non è ereditaria, e quindi Telemaco
non può aspirare automaticamente al trono di Ulisse; se poi la regina Penelope
si risposasse, lui perderebbe ogni diritto; persino Ulisse, se tornasse,
dovrebbe faticare per imporsi. E’ infatti l’assemblea che comanda: si è re non
tanto per volere divino o per discendenza dinastica, ma perché il popolo
riconosce l’autorità regale. Così continua Telemaco:
Non è un male essere re:
la sua casa subito
abbonda di beni, ed egli
è molto onorato.
Ma prìncipi achei ce ne
sono anche altri,
e molti, a Itaca cinta
dal mare, giovani e anziani.
Qualcuno di loro abbia
il regno, se è morto Odisseo luminoso. (I, 392-396)
Siamo
solo alla fine del primo libro, e Omero ci ha già ripetutamente fornito tutti i
temi che confermano questa tesi: Ulisse è morto, tocca a Telemaco liberarsi dei
concorrenti se vuole diventare re; ma, ovviamente, non può farlo da solo, ha
bisogno di aiuto. Quindi convoca l’assemblea
del popolo, piange la morte del padre e si lamenta dell’invadenza dei
pretendenti.
Molto si perde. Perché
non c’è l’uomo
che era Odisseo per
cacciare il malanno di casa.
Noi non valiamo per ora
a cacciarlo: e anche in futuro,
forse, saremo
meschini e non esperti di forza:
ma li caccerei, se
avessi il potere. (II, 58-61)
Telemaco quindi sta già
pensando di cercare “un aiutino” all’esterno.
Ma
qui si ha una prima rivelazione: Penelope non ha la minima intenzione di
risposarsi. Antinoo, il “boss” dei pretendenti, racconta la famosa storia della
tela tessuta dalla regina, che aveva promesso di scegliere il nuovo sposo al
completamento del lenzuolo funebre per il suocero Laerte. Per impedire che ciò
accadesse, la notte disfaceva la tela che aveva tessuto durante il giorno. Ma i
Proci avevano scoperto il trucco. Penelope sa che per risposarsi dovrebbe
ritornare a casa del padre Icario, ma preferisce evidentemente restare come
regina a Itaca insieme con il figlio. Probabilmente anche lei capisce che se si
risposasse e desse all’isola un nuovo re, Telemaco rischierebbe di essere
brutalmente eliminato dal nuovo padrone. Per cui Antinoo si lamenta:
Verso di te non i
pretendenti achei sono colpevoli,
ma la madre tua cara,
che sa troppe astuzie (II, 87-88)
… e astuzie, come
nessuna sentimmo, neppure delle antiche […]
nessuna di quelle seppe
pensieri come Penelope (II, 118-121)
Quella
di essere “abile negli inganni” non doveva essere una caratteristica del solo
astuto Ulisse, ma una peculiarità che coinvolgeva l’intera famiglia: Penelope,
Telemaco e persino, come vedremo, Autolico, il nonno di Ulisse. Una sana tradizione che
durava da tempo!
E che dire del loro cantore Omero, che continua ad ingannarci e contemporaneamente a lodare l'arte dell'inganno?
E che dire del loro cantore Omero, che continua ad ingannarci e contemporaneamente a lodare l'arte dell'inganno?
Ma
anche i pretendenti non scherzano, e si sono installati nella reggia a mangiare
e bere per forzare la regina a rompere gli indugi: chi crede di aver inventato
qualcosa con le “occupazioni” e gli “espropri proletari” non immagina neanche
dove questa forma di protesta abbia avuto inizio!
Ed
ecco che due aquile volano sopra la folla, e un vecchio indovino predice dai
loro movimenti che Ulisse sta per tornare e portare rovina ai pretendenti; come
sempre, chi dice che Ulisse è vivo viene smentito subito, e infatti Eurimaco
sarcastico commenta:
Io molto meglio di te so
spiegare queste cose:
uccelli, molti sotto i
raggi del sole
ne girano, e non tutti
fatali: quanto a Odisseo
è morto da un pezzo: e
fossi morto tu pure
con lui, che non diresti
sciocchezze spiegando gli auguri (II, 180-184)
Con
la nostra mentalità moderna e razionale noi sentiamo di dover dar ragione a
Eurimaco. E forse anche Omero, che, come stiamo cercando di spiegare, era
tutt’altro che irrazionale, anche se ricorreva alle mitologie per motivi… di
lavoro. Eh sì, il conflitto tra scetticismo e superstizione, tra scienza e fede
non è un problema moderno ma ha origini parecchio più antiche!
L’assemblea
si scioglie in modo inconcludente, il popolo resta a guardare e non si schiera
da nessuna parte. Telemaco decide di partire in nave con Mentore ed un
equipaggio di 20 giovani, suoi coetanei, alla volta di Pilo e Sparta,
ufficialmente per cercare notizie del padre. Ma i pretendenti subodorano che ci
sono guai in arrivo:
Ahi ahi! Telemaco vuol
macchinarci la morte.
Certo
si porterà difensori dal Pilo arenoso
Oppure da Sparta, perché
atrocemente ora smania! (II, 325,327)
Si noti che Telemaco, per
far provviste prima di partire, sale nella stanza del padre
Ampia, dove oro e bronzo
giacevano a mucchi,
e vesti nei cofani, e
molto olio fragrante,
e vasi di vino vecchio
dolce da bere (II, 338-341)
Guarda
caso, sono più o meno gli stessi doni che “Ulisse” riceverà dai Feaci, i navigatori
che lo riporteranno a Itaca sbarcandolo dall’altra parte dell’isola, e che
verranno prima deposti sulla spiaggia e poi nascosti in una grotta. Come pure,
Telemaco porterà dei doni simili nel suo viaggio, e altrettanti ne riceverà da
Menelao prima di ritornare. Semplici coincidenze? O non è più logico pensare
che questo continuo spostarsi di regali non sia altro che una specie di gioco
delle scatole cinesi per confondere le idee, e per non far capire da chi
provengono e a chi sono destinati? E che quindi, in realtà, questa non
fosse altro che la ricompensa per il “lavoretto” che avrebbero dovuto
compiere i “difensori” appositamente ingaggiati?
Per leggere il secondo capitolo cliccate qui https://astutoomero.blogspot.it/2016/05/capitolo-2-filottete-chi-era-costui.html
Tutto quello che leggete in questo sito (e molto di più) si trova nella nuova edizione del libro che potete acquistare a prezzo scontato qui https://astutoomero.blogspot.com/2017/07/neomecenatismo.html
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Raffaello Sanzio, il convitto degli Dei, Villa Farnesina, Roma
Eccezionale!
RispondiEliminaSi dovrebbe anche ricorreggere l'intera Bibbia e soprattutto il Nuovo Testamento in cui si dice che un UOMO ha portato a compimento le scritture. Cosa in VERITA'?
Per la Bibbia la faccenda è ancora più complicata, perché gli eventi raccontati nell'Iliade e nell'Odissea si svolgono in un arco di tempo relativamente breve, mentre nella Bibbia le vicende si svolgono in un periodo di diversi secoli. Insomma, più ci si addentra nelle indagini sull’età del bronzo, più ci si accorge che la quantità di interpretazioni fuorvianti aumenta a dismisura, obbligando lo storico ad inoltrarsi in una... selva oscura e indecifrabile. Una tipica storiella ebraica racconta che Mosè li aveva fatti girovagare per quarant'anni nel deserto, per poi farli arrivare nell'unico posto dove… non c'era il petrolio!
RispondiElimina