Diceva Mark Twain, "E' più facile ingannare la gente piuttosto che convincerla di essere stata ingannata"
Omero è una continua fonte di frustrazione per gli archeologi, per i filologi e tutti i commentatori... centinaia di pagine con migliaia di nomi, eventi, riferimenti, località ecc. che però finiscono con il confondere le idee anziché aiutarci a chiarirle. Ma se invece la soluzione fosse diversa da quelle faticosamente elaborate nei secoli dai letterati? Perché Omero continuava a lodare l'arte dell'inganno? Perché dormiva... o perché è lui che ha ingannato tutti per 3000 anni? E i miti sono soltanto delle belle favole oppure nascono da eventi reali di cui si comincia solo ora a intravvedere l'origine?

sito in inglese-english version
https://cunninghomer.blogspot.it/


lunedì 23 maggio 2016

Capitolo 2 - Filottete, chi era costui?



Capitolo 2 - Filottete, chi era costui?

“Dategli una maschera e vi dirà la verità”
Oscar Wilde


Telemaco arriva dunque a Pilo, dal vecchio re Nestore, che era stato uno dei capi della spedizione a Troia. Gli chiede notizie del padre e, nonostante che la dea Atena, stavolta sotto le spoglie di Mentore, lo abbia appena incoraggiato a sperare, al solito non sembra dubitare della sua morte:

Ma tutti gli altri che coi troiani lottarono,
sappiamo dove ciascuno di triste fine perì;
di lui persino la morte ha reso ignota il Cronide (III, 86-88)

Nestore rievoca le sorti degli Achei sotto le mura di Troia e loda Ulisse:

Ebbene, là mai nessuno volle con Odisseo misurarsi
d’ingegno, ché troppo ci superava Odisseo luminoso
in tutti gli inganni, il padre tuo (III, 120-122)

E poi osserva come Ulisse l’ingannatore rassomigli a Telemaco (e ora cominciamo a capire perché…).
Quindi comincia a narrare dei difficoltosi ritorni a casa dei vari comandanti achei e se ne esce subito con una dichiarazione molto interessante:

Bene -mi dicono- sono arrivati i Mirmidoni forti con l’asta
Che il figlio glorioso del magnanimo Achille guidò,
e bene Filottète, lo splendido figlio di Peante (III, 188-190)

Eccolo qui il nostro eroe, colui che sarà il vero esecutore di tutto il piano per eliminare gli odiosi pretendenti. Ma chi era questo Filottete? Vari racconti mitologici narrano che Eracle (Ercole), moribondo e sofferente per un avvelenamento, voleva togliersi la vita facendosi dare fuoco sulla propria pira funeraria; nessuno però aveva il coraggio di accendere il rogo, tranne appunto Filottete. Per questo gesto Eracle, riconoscente, gli donò il suo arco e le frecce, con i quali Filottete divenne un arciere infallibile e re di Etolia. Egli aveva promesso di non dire a nessuno dove si trovava la tomba di Ercole, ma un giorno, con una di quelle “furbate” tipiche degli Achei che abbiamo cominciato a conoscere, pensò bene di indicare il luogo non a voce, ma battendo il piede per terra nel punto esatto.






Anfora con Ercole e Filottete; Ercole Farnese, III secolo d.C., Museo Archeologico Nazionale di Napoli; statua di Ercole a Udine


Naturalmente gli dei punirono questo comportamento scorretto: infatti, mentre guidava un contingente di Achei alla volta di Troia, venne ferito proprio al piede da un serpente (o forse da una delle sue stesse frecce). La lesione si infettò tanto da emanare un puzzo micidiale; inoltre gli acuti lamenti del povero ferito angosciavano talmente i compagni che essi si videro costretti ad abbandonarlo sull’isola di Lemno, dove rimase vivendo di espedienti per quasi tutta la durata della guerra. Omero racconta nell’Iliade del suo gruppo di guerrieri:

di questi guidava Filottete esperto dell’arco
sette navi: e cinquanta rematori in ognuna
salivano, esperti a combattere gagliardamente con l’arco.
Ma egli giaceva in un’isola, soffrendo violenti dolori,
in Lemno divina, dove lo lasciarono i figli degli Achei,
che spasimava  per la piaga maligna di serpe funesto;
Egli giaceva laggiù straziato, ma presto dovevano ricordarsi
gli Argivi, presso le navi, del sire Filottete (Iliade II, 718-725)

Infatti una profezia avvertiva che Troia sarebbe caduta solo grazie alle armi di Eracle. Per cui Filottete, con le armi ereditate dal forzuto eroe, fu recuperato nell’isola, curato e rimesso in sesto dai medici achei. Proprio una delle sue frecce ucciderà Paride, il  principe troiano che aveva dato inizio a tutti i guai rapendo la bella Elena, moglie di Menelao. E’ importante notare che Omero non racconta che Filottete fu abbandonato a Lemno per ordine di Ulisse: questa è un’elucubrazione dei mitografi successivi, poi ripresa anche da Sofocle. Quindi non c’è motivo per pensare che Filottete dovesse covare del risentimento nei confronti di Ulisse o dei suoi familiari. L’opera di Sofocle fu rappresentata per la prima volta nel 409 avanti Cristo, mentre Omero è di almeno tre o quattro secoli precedente, quindi è molto più vicino agli avvenimenti (che, come argomenteremo nella seconda parte, confutando tutte le altre datazioni, si sarebbero svolti intorno all'ottavo secolo avanti Cristo). Per cui si può pensare che Omero sia un testimone... oculare delle vicende (mica male per uno che dovrebbe essere cieco!), mentre Sofocle parli per sentito dire. E raccontando  che Filottete è stato abbandonato sull’isola per colpa di Ulisse finisce per ingarbugliarsi da solo nella sua stessa narrazione, tanto da dover fare intervenire addirittura il fantasma di Ercole (il classico “deus ex machina”) per sbrogliare la matassa.
Riepilogando,  Filottete aveva sicuramente due caratteristiche: la prima, l’abbiamo vista, quella di essere un eccellente arciere; l’altra, che non viene mai messa in evidenza, ma che doveva esserci sicuramente, era quella di essere zoppo, per le conseguenze della grave infezione al piede. E vedremo come questo particolare sarà uno dei motivi di certi strani comportamenti del falso Ulisse che giungerà ad Itaca; mentre al contrario, il vero Ulisse, di cui si raccontano le imprese in giro per il mondo, è un eccellente corridore in perfetta forma.
Ma c’è un altro personaggio della mitologia classica che è tipicamente zoppo: il dio Efesto (Vulcano), che lavora come fabbro nella sua officina. Si noti che di solito gli antichi disprezzavano la deformità fisica, mentre nel caso di Efesto questo grave handicap non gli aveva impedito di essere un dio e soprattutto di sposare Afrodite, cioè Venere, la più bella delle dee.  E vedremo come ci siano continui rimandi tra le vicende di Efesto e quelle di Filottete. Del resto anche lo stesso Filottete, in tempi migliori,  era stato uno dei pretendenti alla mano di Elena, la più bella delle donne. E i pretendenti, prima che venisse scelto come sposo Menelao, si erano giurati un leale patto di reciproca assistenza, da cui era derivato l’obbligo morale di aiutare lo stesso Menelao a riconquistare la moglie rapita. A parte naturalmente ogni considerazione di carattere economico, visto che il buon Paride, oltre che la regina, si era pure fregato abilmente il tesoro della corona, e che viceversa gli Achei, in caso di vittoria, si sarebbero spartiti tutti i beni della ricchissima città nemica.
Ma un’altra notizia clamorosa potrebbe riguardare Filottete: si narra che dopo essere rientrato felicemente  in patria sia ripartito errando a lungo per il mare e fondando numerose città. Quindi il celeberrimo inizio dell’Odissea potrebbe non riguardare Ulisse, che infatti viene nominato solo dopo venti versi, bensì proprio Filottete!

L’uomo ricco di astuzie raccontami, o musa, che a lungo
errò dopo aver distrutto la rocca sacra di Troia;
di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare,
lottando per la vita e per il ritorno dei suoi (Odissea, I, 1-5)

Il primo verso dell’Odissea ha sempre messo in difficoltà i traduttori, perché contiene la parola polýtropos (πολύτροπος), l’aggettivo che spesso descrive Ulisse, composto di poli- (molto) e -tropos (volgere). Quindi uomo “che si volge da molte parti”, cioè dai molti giri, dai molti viaggi, oppure ricco di astuzie, o di multiforme ingegno, come viene spesso tradotto, ma anche dalle mille sfaccettature, o dalle molte facce, dai molti aspetti, ed è questo proprio il caso del nostro protagonista, che potrebbe sembrare Ulisse, ma è un altro.

Dopo questo shock non da poco,  torniamo alla nostra storia: Nestore invita Telemaco a recarsi a Sparta, a casa di Menelao, non prima di avere nuovamente accennato alle vicende di Agamennone. Anche Menelao rievoca la storia del fratello, che ricorda per molti versi quella degli stessi Ulisse e Penelope. Rientrato a Micene dopo la guerra, Agamennone è stato ucciso a tradimento durante un banchetto da Egisto, amante della moglie Clitemnestra. Poi il figlio Oreste ha provveduto a vendicare la morte del padre, guadagnandosi sempiterna gloria (e il diritto al trono). Come abbiamo già visto, il racconto è un modo per suggerire a Telemaco come comportarsi. Da notare altre similitudini: il traditore tende un agguato con 20 uomini, dopo aver messo un uomo di sentinella a scrutare  il mare, la stessa cosa che tenteranno di fare i Proci con Telemaco.
E intanto, sia Menelao che Telemaco non perdono nuovamente occasione per far capire al lettore, o meglio all’ascoltatore,  che il povero Ulisse è morto e non potrà tornare mai più. Mentre il figlio di Nestore, che ha accompagnato Telemaco, non esita a mostrare come si potrebbe aiutarlo:

Molte pene un figlio di padre lontano è costretto a soffrire
in casa, uno che altri difensori non abbia,
come ora Telemaco ha il padre lontano e non ha nessun altro
che lo difenda dalla sventura tra il popolo (IV, 164-167)

Dato che la scena avviene mentre Menelao sta presenziando ad un banchetto di nozze, possiamo anche presumere che ci fossero parecchi invitati provenienti dalle località vicine, tra i quali magari reclutare i difensori necessari. Ma questa è solo una supposizione, naturalmente. Come pure si può supporre che quando Menelao regala a Telemaco un prezioso cratere d'oro e d'argento, sottolineando per due volte in momenti diversi (IV, 617 e XV, 117) che esso era opera di Efesto, questo serva proprio per far intuire che ci sarà bisogno di qualcuno simile allo "zoppo divino" per risolvere la faccenda.
Poi Menelao racconta di quando si trovava nell’isola di Faro, senza più niente da mangiare e senza vento per tornare in patria, e di come si fosse fatto aiutare dalla figlia di Proteo, il Vecchio del mare che era in grado di cambiare continuamente aspetto e anche di fare profezie, ma solo se trattenuto strettamente. Su suggerimento della fanciulla, Menelao ed altri tre compagni si travestono da foche per tendere un agguato al Vecchio e interrogarlo. Preso e immobilizzato, Proteo raccomanda quindi di tornare fino in Egitto dove fare dei sacrifici agli dei, per riprendere finalmente incolume la rotta verso casa.
Che bisogno c’era di raccontare questo episodio? Forse è un modo per suggerire come anche Filottete dovrà mascherarsi da Ulisse per battere i  pretendenti. Anche i personaggi sono un padre e una figlia (che riunisce i caratteri di Penelope e Telemaco), che deve tessere un inganno per ottenere il suo scopo; e c’è pure una situazione statica senza via d’uscita, con gente che mangia le provviste su di una piccola isola, con quattro uomini che devono agire, così come al momento giusto saranno in quattro a compiere la strage dei Proci: Telemaco, “Ulisse” (ovvero Filottete), il porcaro Eumeo e il mandriano Filezio. Menelao inoltre si lamenta del fetore emesso dalle pelli delle foche che lui e i compagni usano per travestirsi: molto raramente la “puzza” fa la sua comparsa nella mitologia, che tende ovviamente a privilegiare argomenti più elevati. Ma, come abbiamo visto, pure la ferita di Filottete, quando era ancora infetta, presentava in modo drammatico lo stesso problema: quindi anche questa può essere un’indicazione per richiamare alla mente la sua vicenda.
Come sempre, anche i racconti mitologici più improbabili non sono fini a se stessi, ma suggeriscono in modo nascosto quale sarà l’esito finale. Osserviamo che, pure in questo caso, i personaggi immaginari sono gli unici a dire che Ulisse è ancora vivo. Proteo afferma infatti che Ulisse è naufragato sulla lontana isola della ninfa Calipso e non è in grado di tornare; poi profetizza a Menelao quale sarà il suo futuro: ma se è in grado di conoscere il futuro, come mai non sa prevedere il destino di Ulisse?
Allo stesso modo possiamo vedere il finale del IV libro, con la dea Atena che appare in sogno a Penelope come il fantasma della sorella, per tranquillizzarla del fatto che Telemaco sta per tornare. Al che Penelope non perde tempo e domanda del marito:

Se un nume sei, e voce ascolti di numi,
dimmi dunque anche di quel misero,
se ancora è vivo e vede la luce del sole
oppure è morto, è nelle case dell’Ade”
E rispondendo le disse l’evanescente fantasma:
“No, questo non te lo dirò chiaramente
se è vivo o morto: è male fare chiacchiere al vento (IV, 830,837)

Sorella dispettosetta, eh?

saltiamo il capitolo 3 e passiamo a un estratto del capitolo 4  https://astutoomero.blogspot.it/2016/05/capitolo-4-ma-chi-era-questo-omero.html

 Tutto quello che leggete in questo sito (e molto di più) si trova nella nuova edizione del libro che potete acquistare a prezzo scontato qui  https://astutoomero.blogspot.com/2017/07/neomecenatismo.html

Nessun commento:

Posta un commento