ULIVI, ABETI, CICLOPI & MAMMUT
Si può ritenere che, durante l’optimum climatico postglaciale, il clima consentisse la coltivazione di questa pianta nel Nord Europa, analogamente a ciò che avviene oggi sulle sponde dei laghi lombardi. Il che è plausibile: tuttavia in Omero l’ulivo è una pianta ben strana, dato che ha le foglie sottili, vegeta in luoghi umidi, e che serve per fare attrezzi, oppure pali, come quello che acceca Polifemo, che viene descritto grande e diritto come l’albero di una nave; alcuni studiosi ritengono che ci sia stata una correzione di certe parole della lingua omerica (il dialetto ionico) per rendere più “comprensibili” certi termini: quindi può darsi che l’“ulivo” omerico fosse in realtà un’altra pianta, come un abete, il cui nome greco (elate) assomiglia parecchio a quello dell’ulivo (elaia, o elaie). Dato che nel clima nordico gli abeti crescono al livello del mare, mentre nel Mediterraneo no, qualche antichissimo copista, ignorando l’origine nordica del poema, può aver pensato bene di correggere quella strana anomalia botanica. Ma questo è uno dei pochissimi casi in cui si può pensare a una piccola modifica del testo originale, avvenuta in epoca successiva alla prima stesura, a differenza della miriade di casi che si è obbligati a immaginare con le tradizionali interpretazioni. Ma è logico pensare che l’albero di una nave sia fatto con un tronco di abete, e non certo di ulivo, che è quasi sempre contorto e nodoso. Ancora pochi secoli fa, la Repubblica di Venezia (che comprendeva anche le zone montane del Trentino) prevedeva la pena di morte per chi avesse tagliato una pianta di abete senza permesso, perché ciò avrebbe compromesso la fonte primaria su cui si basava il dominio dei mari. Anche il famoso letto di Penelope, su cui Ulisse aveva compiuto un complicato lavoro di traforo, ha l’aria di essere ricavato da un possente abete e non da un tronco d’ulivo, che è duro, fibroso e poco adatto a questa lavorazione con un rozzo trapano manuale dell’età del bronzo. Mentre per costruire la sua zattera sull'isola di Ogigia, Ulisse va a tagliare proprio degli abeti; anche nell'Iliade, la cosiddetta “tenda” di Achille (che andrebbe forse tradotta con “baracca”, sia pur di lusso), che si trovava sulla spiaggia, era stata costruita con robusti tronchi di abete (Il. XXIV,450), e in entrambi i casi non è stata fatta alcuna correzione. Ma non si può certo pensare che gli Achei si fossero portati tutto il materiale via nave, e neanche che avessero compiuto un’escursione di parecchie centinaia di metri di altitudine in territorio nemico per abbattere gli alberi necessari e trasportarli fino al livello del mare: dovevano aver usato qualcosa che si trovava a portata di mano. Le diverse specie mediterranee di abeti attualmente non crescono al di sotto dei 700 metri di quota. Non potevano scendere di molto in periodi più freddi, se non andiamo indietro fino nell'era glaciale, che mi sembra un tantino lontana dall’epoca omerica. Alle latitudini mediterranee a livello del mare ci sono pini marittimi, pini domestici o pini d’Aleppo, ma non abeti. Chi non conosce la botanica crede che pini e abeti siano piante molto simili, difficili da distinguere, ma non è così. In greco pino e abete si chiamano in modo molto diverso, anche se a volte qualcuno ha usato erroneamente il termine elate per indicare il pino; però, in ogni caso, non è chiaro per quale motivo Omero, o chi per lui, avrebbe dovuto cambiare un abete, o un pino, in un olivo, visto che la descrizione non corrisponde, dato che non si fanno palizzate con alberi contorti, e men che mai se sono specie che producono preziosi alimenti come le olive. Gli antichi conoscevano e distinguevano le piante molto meglio di noi moderni, perché per loro le competenze botaniche erano di importanza vitale. Quindi la spiegazione più logica è che Omero parlasse di abeti, che qualche copista ha trasformato in ulivi, e che qualche altro commentatore o traduttore abbia pensato erroneamente che gli “abeti” a livello del mare fossero in realtà dei pini, facendo finire questo errore anche sui vocabolari e perpetuandolo fino ai giorni nostri.
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Scheletri di mammut, Parigi, Museo di Storia Naturale
credit line: fossil femur Palaeoloxodon antiquus compared to human femur, photo by M. Pajuelo, courtesy of Ana Pinto, fig. 2.8 "The First Fossil Hunters" by Adrienne Mayor, used with permission.)
Le foto sono state scattate al Museo di Storia Naturale di Parigi e al museo di Sperlonga
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