Recentemente, due mie
lettrici, che lavorano nell'editoria svedese, le sorelle gemelle Annika e
Malena Lagerhorn, hanno esaminato anche l'Iliade in modo razionale, ripulendola
dagli interventi divini e dagli intenti encomiastici di un poeta che doveva
lodare Achille mostrandone un ritratto molto più lusinghiero di quello che
poteva essere nella realtà. Il lavoro delle sorelle Lagerhorn è partito
dall'osservazione dell'episodio finale del poema (libro XXIV), quando il re Priamo riesce stranamente ad arrivare
indisturbato nottetempo fin dentro all'accampamento acheo e alla casa di
Achille, conducendo un carro con un ricco riscatto per il corpo di Ettore.
Naturalmente per far ciò è necessario l'intervento divino, con il dio degli
imbroglioni Hermes che provvede a scortarlo e a far addormentare le guardie.
Ancora più straordinario è poi il fatto
che grazie a un altro miracolo il cadavere dell'eroe troiano sia integro in
tutta la sua bellezza, nonostante il furioso Achille l'abbia ucciso già da
dodici giorni e l'abbia trascinato a tutta velocità dietro il suo carro da
guerra. Anche in questo caso, come abbiamo visto per l'Odissea, il poeta manda
una serie di informazioni che consentono di intuire quale sia stata la vera
vicenda che ha dato origine al poema sull'Ira di Achille. Tanto per cominciare,
e ci risiamo, Ettore… non era Ettore! O meglio, quello massacrato da Achille
non era il glorioso comandante troiano che ne aveva scatenato la vendetta per
avere ucciso Patroclo. A metà circa del poema, Ettore viene ferito gravemente
al collo dal possente Aiace, svenendo più volte e vomitando sangue, per poi
essere soccorso dai troiani (Il. XIV,
409-439). Secondo Felice Vinci, l'arma che lo colpisce, chiamata da Omero
"chermadio", non è un semplice sasso o macigno, come viene tradotto
normalmente, ma una ben più pericolosa ed efficace ascia da combattimento di
pietra, in grado anche di produrre profonde ferite; ciononostante, Ettore riesce
a riprendersi giusto giusto per rientrare in battaglia e uccidere Patroclo
colpendolo con la lancia nel ventre. Però Patroclo era stato ferito un attimo
prima alla schiena da un certo Euforbo, che aveva approfittato del malore
occorso allo stesso Patroclo (XVI,
785-867) perché colpito dal dio Apollo (un evento facilmente interpretabile
come un collasso per lo sforzo eccessivo sostenuto in continui combattimenti). C'è
da pensare che allora Patroclo sarebbe morto comunque, anche senza l'intervento
di Ettore. Quindi, argomentano le due diaboliche gemelline, forse Ettore non
era sopravvissuto al colpo di chermadio, ma era morto dentro le mura di Troia
dopo pochi giorni, e per questo motivo il suo corpo era così in buono stato. Però
non si poteva inventare un poema per lodare la capacità di Achille di uccidere
un troiano qualsiasi, ma bisognava trovare un nemico glorioso come il
comandante in capo dell'esercito nemico. Più è forte l'avversario, più grande è
la gloria di chi riesce a batterlo. Lo stesso Achille, poi, era stato capace di
razziare un buon bottino uccidendo dei semplici pastori dei villaggi vicini e
di rapire un po' di donne, ma si era guardato bene dall'entrare in guerra nei
momenti più caldi della battaglia, salvo intervenire, fresco e riposato, quando
i nemici erano quasi esausti ma rischiavano comunque di travolgere l'esercito
acheo, ormai vicino alla disfatta. Per di più, altri autori narrano che Achille
avesse cercato di sottrarsi alla chiamata alle armi travestendosi da donna, un
espediente non molto dignitoso. Quindi se l'Iliade è stata composta per lodare
Achille, anziché uno dei molti guerrieri più coraggiosi e valorosi di lui, ciò
vorrebbe dire che anche l'autore di questo poema è stato "pagato" per
farlo; anche se, diversamente dal caso dell'Odissea, gli indizi che ha inserito
sono ancora più difficili da individuare, perché non viene continuamente lodata
l'arte dell'inganno, ma si insiste piuttosto su una volontà divina e sul
destino di gloria che gli dei hanno riservato al protagonista. Chi sarebbe stato
il committente dell'opera? Forse Neottolemo, come dicevo prima, o magari il
padre di Achille, il ricco e potente Peleo, che era stato a sua volta un
guerriero dalla fedina penale tutt'altro che immacolata. In effetti, gli eroi
della mitologia e dell'antichità, visti con gli occhi di noi moderni cittadini
benestanti, rispettosi delle leggi e del
galateo, non appaiono tanto diversi dai pirati che assalivano le navi
mercantili, dai cowboy che razziavano bestiame, o dai gangster che si affrontavano
in continue faide, tra rapine, rapimenti e violenze di ogni genere! E anche
loro, in fondo, hanno avuto dei cantori, o meglio dei romanzieri o dei registi,
che ne hanno narrato le gesta. Ma spesso erano tutt'altro che degli eroi, ma
piuttosto dei… simpatici delinquenti, o, se preferite, delle adorabili canaglie.
Sia pure con un loro peculiare codice di uomini d'onore. E magari, tanti altri personaggi passati alla
storia come eroi e valorosi combattenti, per i loro nemici erano solo dei
criminali di guerra; ma si sa che la Storia viene sempre scritta dai vincitori. Ogni epoca, si può
dire, ha avuto il suo Omero. Anche se magari non così geniale e astuto come il
"nostro", inimitabile, Omero.
Gli accademici forse storceranno il naso anche
di fronte a questa interpretazione dell'Iliade, ma ecco cosa scrive
la classicista Barbara Graziosi dell'università di Princeton nel suo
recentissimo libro "Omero" (Hoepli editore, 2019): «Il
dolore di Achille viene osservato e descritto in modo così minuzioso
che ha attirato l’attenzione dei medici. In un libro importante
[Achilles in Vietnam,
del 1994)], lo psichiatra Jonathan Shay gli diagnostica un disturbo
post-traumatico, indicando punto per punto le corrispondenze fra il
comportamento di Achille e i sintomi accusati da molti veterani del
Vietnam da lui trattati: la mēnis
[l’ira funesta], nell’analisi di Shay, ha notevoli punti in
comune con la rabbia sfrenata e furibonda provata dai suoi pazienti.
In entrambi i casi, sostiene Shay, il trauma comincia con un
tradimento di ciò che viene considerato giusto dalle norme sociali
che governano il contesto specifico in cui agisce il combattente; ciò
provoca una riduzione dell’orizzonte morale del soggetto e una
completa perdita del controllo quando succede qualcosa di terribile
entro questo ambito ridotto: tipicamente, la morte di un commilitone
molto vicino. Come Achille, molti combattenti moderni continuano a
provare una rabbia fortissima e un pesante senso di colpa, anche a
distanza di molto tempo dagli eventi che avevano innescato in loro un
accesso di violenza ». Quindi, non molto diverso da quanto hanno
scritto le sorelle Lagerhorn, anche se probabilmente la stessa
Graziosi non ha mai letto il loro libro.
Ma
l’episodio,
così come appare alla lettura anche
al giorno d’oggi,
è davvero
emozionante
e ricchissimo di pathos, il che dimostra che, come
al solito, la capacità di introspezione psicologica e le descrizioni
di Omero, quando
vuole, sono estremamente realistiche e anche attualissime, altro che
miti di tempi lontani senza alcun contatto con la realtà!
Il sito di Malena Lagerhorn (in inglese e in svedese!) https://ilionboken.wordpress.com/
Tutto quello che leggete in questo sito (e molto di più) si trova nel libro che potete acquistare a prezzo scontato qui https://astutoomero.blogspot.com/2017/07/neomecenatismo.html
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